martedì 2 dicembre 2008

Ciao...

Ecco. Sono tornate, le mie paturnie.
Entrate pure, vi preparo un caffè, così stanotte mi tenete compagnia nel viaggio.
Vi avverto che potreste sentire freddo, perché ho il posto sul lato finestrino e si sa che il vetro è gelido. Il mio cuscino è in valigia. Dove volete che sia. In fondo, quale posto migliore per una “senzatetto”?

C’era una nube di fumo opaca, ovviamente non di tabacco.
Tre erano buttati su un divano. Lo sguardo ipnotizzato dalla tv. O almeno questo è quello che ho creduto per un po’ di tempo.
Uno strimpellava una chitarra e cantava.
E’ stonato- pensai.
Il suo amico di fianco sorrideva. E basta.
E poi ne arrivò un altro. Capii che era campano dalle tre sillabe che pronunciò tra un morso ed un altro ad un trancio di capricciosa.
Non ci metto più piede qui- mi dissi.
Ho sempre avuto il difetto dell’incoerenza.
Per fortuna.

Mi ci son voluti una valigia, un borsone, due pacchi postali e un bagaglio a mano per sigillare tre anni.
Mi son fatta bastare un paio di occhi lucidi, qualche abbraccio fugace e una compressa di maloox per riassorbire il magone.
Siena ha già le lucine colorate, sfuocate dalla commozione e dalla tramontana.
Il negozietto di bomboniere ha già allestito la sua vetrina. Quelle coccarde rosse mi fanno impazzire. Perché il Natale è sempre un po’retrò.

Ho svuotato l’armadio, i cassetti, l’attaccapanni.
Ho messo via la tazza della colazione.
Ora a tavola saranno solo in due.

Squilla il telefono.
“Anna, ho chiesto se ci possono mettere il divanoletto”.
“Hai fatto bene. Mettiamocelo il divanoletto”.
Mettiamoci tutto quello che serve.
Anche un’altra parte di me.
Ancora.

venerdì 28 novembre 2008

Feeling good...

Un risveglio grigio almeno quanto quello del cielo di stamane, che sbatte pioggia e vento sui vetri della finestra.

Un sogno rassicurante quello di stanotte. Una giostra francese, quella con i cavalli ornati di tutto punto. Ma io non vi ero montata su, guardavo curiosa e stupita il suo movimento circolare e costante che ogni 2 minuti mi riproponeva la faccia ridente ma paretica della stessa bambina.

Tra meno di una settimana si cambia vita. Tra meno di una settimana me ne invento un’altra. Il tempo che mi rimane è per la raccolta differenziata. Quella dei ricordi.
Mi chiedo dove andranno tutte le strade, i bar, le infradito d’estate e gli stivali fradici d’inverno. Le sedie impolverate dei ricevimenti e i gradini della Croce del Travaglio.
Il pavimento ancora freddo del Campo ad aprile, le birre scolate fino all’ultimo goccio da Rosy. I negroni lasciati a metà.
Le porte sbattute e le lacrime affaticate dalle salite, le brutte parole e i sussulti più dolci. Gli abbracci più sinceri e i baci di giuda.
Le mie lenzuola e quelle di chi sa chi.

Me lo chiedo tutt’ora perché si deve avere lo sguardo fisso in un punto in metropolitana. E’ come se il buio dei sotterranei assorbisse tutti i colori.
Ma per fortuna entra un gruppo di zingari con i loro strumenti di cartone.
Sorrido. Finalmente la musica.
Uno di loro mi si avvicina, mi porge il cappello bucato e mi regala un riso sdentato.
Un pezzetto di felicità può costare giusto qualche centesimo. Spesso facciamo finta di non saperlo.

venerdì 14 novembre 2008

Rewind?

Più mescoli e più s’addensa.
Più la fiamma è alta e più ribolle.
Non c’è soggetto ma solo un disordinato accumulo di molecole
che nella mia mente prende la forma di un irresistibile e peccaminoso dejavù.

Ma che nessuna provi a distogliermi da certi profumi...la perseveranza, a volte ottusa e crudele, ha già assuefatto i miei polmoni.


giovedì 6 novembre 2008

Love will come through...(forse)

Dieci: le persone che ho baciato fino ad ora
Tre: i ragazzi con cui sono stata.
Tre: quelli che hanno detto di amarmi
Uno: quello che credo l’abbia fatto davvero.
Due: le volte che ho pianto per una delusione
Mille: le volte che mi sono ripromessa che non sarebbe mai più successo

E poi alla Conad un impertinente ma simpatico vecchietto mi chiede come faccia a non avere un “citto” e che lui, se fosse stato giovane, non mi avrebbe tolto gli occhi di dosso.
Sorrido.
Ne sa una più del diavolo il vecchietto. In realtà voleva solo che gli portassi la spesa fin sotto il portone di casa…
You won't tell a soul
Will you hold it and keep it alive
Cause it's burning a hole
And I can't get to sleep
And I can't live alone in this lie
So look up
Take it away
Don't look da-da-da- down the mountain
If the world isn't turning
Your heart won't return
Anyone, anything, anyhow
So take me don't leave me
Take me don't leave me
Baby, love will come through it's just waiting for you
Well I stand at the crossroads
Of highroads and lowroads
And I got a feeling it's right
If it's real what I'm feeling
There's no make believing
The sound of the wings of the flight of a dove
Take it away
Don't look da-da-da down the mountain
If the world isn't turning
Your heart won't return anyone anything anyhow...
So take me don't leave me
Take me don't leave me
Baby, love will come through it's just waiting for you
So look up
Take it away
Don't look da-da-da- down
If the world isn't turning
Your heart won't return anyone anything anyhow...
So take me don't leave me
Take me don't leave me
Baby, love will come through it's just waiting for you
Love will come through
Love will come through
Love will come through

sabato 1 novembre 2008

Canzoni suonate...

Non è captatio benevolentiae, non è nostalgia di periodi spensierati, non è nemmeno voglia di rinchiudersi in se stessi.
E’ solo un pensiero per chi sa chi. Oltre che per me stessa.
Lascio che le immagini vadano da sole e ballino questo lento insieme a voi.
In questa prima giornata di novembre, tanto uggiosa quanto il tempo che passo davanti a questo pc.
Cosa vi viene in mente?
Su su…rispondete…

http://it.youtube.com/watch?v=cT8rS1CktTw

giovedì 30 ottobre 2008

Una collezione di calzini

Più di due minuti a fissare i propri piedi possono far pensare che al di là di un feticismo troppo scontato per essere reale ci sia dell’altro. Magari una delle mie inutili, fuligginose e spicciole idee dietro cui il mio altrettanto spicciolo cervello perde i pomeriggi interi. Come questo.
Motivo del mio interesse: i miei calzini turchese. Il quarto strato della mia pelle.
E poi, i miei calzini turchese sopra i pantaloni del pigiama. Quinto strato.
Lo so, queste righe richiamano delle immagini che non possono che provocare un crollo della libido in chi mi legge. Espierò le mie colpe a tempo debito, ma non è questo il punto.
Credo sia maniacale il mio tentativo di soffocarmi. Di occludere ogni spiraglio d’aria per trattenere il calore. O per evitare di sentir freddo.
Basti vedere il mio letto. Fatto di lenzuola, piumone, plaid 1 e plaid 2.
La mia mise notturna: canotta, pigiama in flanella, felpa se fuori c’è una temperatura inferiore ai 6 gradi centigradi.
Le mie passeggiate invernali: si intravedono solo gli occhi.
Siamo ancora ad ottobre, ma per prevenire malanni meglio coprirsi.

lunedì 27 ottobre 2008

L'altro chiaro di luna

Fa rabbia guardarsi indietro e sentire ancora il terreno ruvido sotto la pancia.
Ti graffia ed è così incisivo da staccarti un brandello per volta la dignità. Quella conservata vicino al cuore. E ti crogioli nell’umiliazione di quel dolore, quasi te ne compiaci. Perché a volte si pensa che quel che brucia ha un valore troppo alto per poter lasciarsi sfuggire anche l’ultimo granello di cenere.
Cazzate. Solo un mare di cazzate.
La verità è che ci sono “contingenze” che ti rendono schiavo dei tuoi stessi desideri e non riesci a capire che sono solo tra le più effimere delle illusioni. E quando riesci a guardarli dall’altro chiaro di luna allora ti accorgi di quanta te hai perso per strada. O peggio l’hai consegnata a qualcuno o qualcosa che non te la restituirà più.
Ma questo è il gioco perverso degli amori sbagliati, degli sguardi deviati, delle parole sprecate. E non si impara mai. Quel che si può fare è imparare a reinventarsi, finchè se ne ha la forza. E credere che c’è sempre, ma proprio sempre una via di uscita. Dove porterà non si sa. Tutto sta nel saper aspettare.


sabato 25 ottobre 2008

Datemi un'ora di yoga...

Probabilmente non c’è nessuna connessione tra gli Smashing Pumpkins, una maschera al cetriolo, una tesi di laurea e il desiderio di piazzarmi qualche oretta nella Feltrinelli. Cioè..un motivo ci sarebbe, ma forse è solo quello apparente. La meteoropatia è una mia malattia, lo riconosco, ma una giornata di sole non può produrre così tanta endorfina. Mi informerò.

Fatto sta che il mio pessimo senso organizzativo cerca dei tappabuchi, degli escamotage con cui mantenere sottocontrollo una elettricità completamente imprevedibile. Oggi sarei capace di tutto e quel che mi preoccupa è che ho prelevato proprio ieri sera. Dovrò cercare di evitare le profumerie o le erboristerie.

Meglio passare a De Andrè….ma perché mi viene di ascoltare Il Bombarolo????

Dovrei bere meno caffè la mattina.

Torno al mio L’Europeo.

sabato 18 ottobre 2008

Vento in faccia...(parte seconda)

Perché a volte si può decidere di mandarla a quel paese la tristezza.
Ma raramente c’è qualcuno che decide di farlo per te.
Oggi è successo. Oggi una signora rossa mi ha chiesto di montarla e di lasciarmi lambire dal vento. Già, vento in faccia.
E gli occhi avrebbero voluto chiudersi sotto la mascherina del casco, ma non ce l’hanno fatta. Non hanno resistito alla voglia di perdersi tra le pieghe di quelle distese multicolore. Hanno lasciato che i miei sensi si trastullassero tra quelle lenzuola di terra arata, riscaldata dagli ultimi raggi di un sole d’autunno. Sembrava velluto.
Ed io lì, avvinghiata al silenzio del mio conducente, che ammortizzava ogni nostalgica curva dei miei pensieri.
Vorrei poterla ringraziare questa signora rossa. Oggi mi ha fatto sentire meno sola.
Ma io non so parlare, so solo farmi lambire dal vento e sorridere.


mercoledì 15 ottobre 2008

Tra me e me...

Poca ispirazione stasera. Solo voglia di imprimere segni. Di sporcare il bianco noia di questo foglio. Non ho la rilassatezza per ritrarre. Solo schizzi. Bozze di pensieri trasposti su carta. Niente matita, ma solo penna. Nera., ovviamente. Niente sfumature, ma solo rigidi e repentini tocchi di inchiostro. Dall’alto verso il basso una linea si sfinisce in un ovale: una maschera inespressa che aspetta di prender vita. Poi i capelli. Quelli sono il mio punto forte. Mi compiaccio nell’idea di movimento che rendono. Che rendo. Spigolosi e allungati gli occhi. Le sopracciglia prendono forma nell’inconsistenza di un colpo di polso. L’ombra del naso, e finalmente le labbra. L’epilogo del mio disegno, il fallimento il più delle volte. Dalla curva che le definisce dipende il mio giudizio.
Le mie modelle sono sempre tristi. Quasi frigide.
Degne di essere cestinate.

venerdì 10 ottobre 2008

Ma 30 capocciate nel muro bastano a neutralizzare questa sensazione d'ansia opprimente?

giovedì 9 ottobre 2008

The City..

Spiaccicata contro il separè di vetro che fa da confine tra la zona passeggeri e quella dell’autista, ad ogni brusca frenata la mia testa segue il ritmo del rimpallo.
E, aggrappata al braccio di un gentile signore che si è prestato a fare da àncora di salvataggio, cerco goffamente di contenere ogni strattone che involontariamente e vicendevolmente ci si dà in quelle occasioni, in cui la distanza prossemica è assolutamente azzerata. Con tutte le conseguenze che ne possono derivare, ivi compresa una bella palpata sul sedere di un bulletto appiccicatosi dietro.
Guardo fuori dal finestrino la gente per strada. Tutti di fretta in questa città. A qualsiasi ora del giorno. Ne fisso i volti provando a indovinare le loro storie, e provando a immaginare la faccia che tra qualche mese avrò io, quando mi ritroverò catapultata in un’altra dimensione, irrimediabilmente estranea (temo).
Mi sforzo di memorizzare le strade e i percorsi, ma i punti di riferimento mi sembrano tutti uguali. Sono riuscita solo a ricordare le 10 fermate di metro prima di giungere a destinazione. Linea verde, mi è sempre piaciuto questo colore.
Dopo 3 ore di mezzi, arrivo a casa della mia amica, frastornata da una gestalt di rumori che nelle mie orecchie prendono la forma di un mal di testa.
Moment e divano. Quasi sicuramente il leit motiv del mio prossimo inverno.
Dicono che Milano la si può anche amare, ma richiede un po’ di impegno.
Ci proverò, anche se convincermene già mi fa venire il magone.
Per sei mesi di sogni, questo ed altro.

sabato 4 ottobre 2008

Ti dedico questi pensieri, perché da qui non posso fare altrimenti.
Sapevo che stavi male, ma non ho mai creduto che potessi andartene così presto.
La mente brucia settecento km e vola da te, e le lacrime fanno da olio su cui lasciarmi scivolare per raggiungerti quanto prima.
Ti dedico questi pensieri perché te e la tua famiglia mi avete sempre fatto sentire a casa, nella vostra casa. Ottanta gradini, 100 passi, una corsa, un citofono ed ero già lì, a mangiare le frise che tu ci preparavi, a me e Checca, quando alle sei di sera tornavi dal lavoro. E poi mi riaccompagnavi, non troppo tardi perché l’indomani, come hai sempre fatto per 5 anni, ci avresti portate a scuola. Con la 127 bianca e i nostri grembiuli, le trecce e gli zaini grandi. E quei panini che a Gianino lo rimproveravi sempre, perché non li riempiva abbastanza. “mena Gianì, che le bambine devono crescere!- dicevi, con quel tono scherzoso e quel sorriso che negli anni non si sarebbe mai appassito.
Le bambine so cresciute. Si stanno anche per laureare. E tu non ce l’hai nemmeno fatta a vedere, quella donna che è diventata tua figlia, laurearsi.
Questo Natale non sarà lo stesso. Quando passerò a prendere mamma da scuola, tu non sarai lì a salutarmi, a darmi la tua solita pacca e a dirmi “Sempre in gamba, e ritirati presto, che pure Franesca sta qui. Che si sa perché…quella ormai ha l’amore!”. Io non ho l’amore, e non tornerò nemmeno a casa dopo la laurea. Però ovunque andrò, tu resterai sempre una di quelle persone che mi ricorderanno quanto è stata bella la mia infanzia. E quanto possano scaldarti il cuore le dolci parole di chi ti ha visto crescere.
Ciao Peppino.

giovedì 2 ottobre 2008

Orario di ricevimento...


Due rampe di scale e una seggiola nera su cui aspettare.
Nel corridoio echeggia solo la voce decisa e piena del professore, che fa lezione ai nuovi studenti.
Tra le Converse e il pavimento di un marrone confuso da varie sfumature, il mio occhio coglie qualcosa che si muove. Zoom, messa a fuoco e particolare: è un’ape in agonia. O almeno credo che lo sia, visto che non riesce a volare ma ad ali tese zampetta sul pavimento. Viene nella mia direzione. Ho paura delle api, ho sempre creduto che una puntura e mi sarei ritrovata al pronto soccorso a causa di uno shock anafilattico. Un’altra delle mie immotivate fobie. Eppure mio padre mi ha insegnato a non temerle, o almeno ha cercato di farmelo capire. Loro pungono solo per difendersi-mi diceva. Strana teoria questa, comune non solo alle api.
Pochi cm dalle mie scarpe. L’idea di schiacciarla mi disgusta, non sopporterei nemmeno il “crac” che sentirei sotto i miei passi. Un calcio e l’allontano. Ma lei persevera e si riavvicina. Ancora un calcio e di nuovo, si riavvicina. La stessa traiettoria. Mi vuole pungere? Ma no, sta morendo. E poi che senso avrebbe un suicidio? O forse avrebbe senso proprio per accelerare l’ineluttabile destino? Chissà se le api lo sanno che liberarsi dal pungiglione significa la fine della loro esistenza.
Solo l’ape regina punge e si sente in diritto di non morire.
Ti lascia mangiare il suo miele, ma quando le pare sferra l’attacco.
In fondo si sa, ai sovrani è tutto concesso.

lunedì 29 settembre 2008

Io me ne frego

Pirandelliani movimenti, per anestetizzare ciò che non serve, per ora, scoprire.
E giù birre e alcolici per assecondare gli occhi stolti di chi si accontenta di sentire cazzate da una bocca sottile e sanguigna.
Nero sopra, sotto ed intorno agli occhi per rendere opaco ciò che in realtà vorrebbero dire. Sorrisi sempre uguali a se stessi per regalare sensazioni paretiche a chi crede di conoscerti.
Condizione apparente di standby, ma dentro un taglio che ti spacca simmetricamente in due parti uguali.
Quale volete? Pardon…scelgo io.


Ps: dedicato a chi crede di potermi fregare o ancor peggio all’arroganza di chi pensa di potermi giudicare.

venerdì 26 settembre 2008

Laurea...(parte prima)

Metti un biglietto andata e ritorno per la Puglia, due giorni di permanenza a casa, due notti in pullman e tanto tanto sonno arretrato.
Metti una buona mezz’ora di ritardo perchè imbottigliati nel traffico e le orecchie stordite dai clacson di autisti imbestialiti.
Metti una corsa tra tacchi e ombrello ripara diluvio universale, alla ricerca stancante di un’aula magna che apre le porte solo alle cerimonie ufficiali e quindi sconosciuta ai più.
E mettici pure qualche imprecazione perché nonostante le peripezie sei arrivata troppo tardi e la tua amica ha già discusso la sua tesi di laurea.
Uno sguardo da lontano solo per dirle che ci sei, un abbraccio fugace non appena la commissione si riunisce per decretare. E poi ti metti a sedere tra le amiche di sempre, quelle che come te, hanno preso il primo treno e sono scese a casa per applaudire la loro “dottoressa”. E non ti resta che aspettare trepidante e nervosa il rientro in aula dei giudici.
Tutti impettiti cominciano a proclamare, fino a pronunciare il suo nome. Le orecchie tese e il cuore che scoppia nel momento in cui il nostro medico oltre la lode si becca pure il plauso della commissione.
Anneghi tra le lacrime, che scendono senza controllo. E l’abbraccio lungo e sincero tra due persone che hanno condiviso tutto, ma proprio tutto, negli ultimi 11 anni.
Sei stata grande dottorè…

lunedì 22 settembre 2008

Io e te...

Tu russi, causa deviazione del setto nasale (dici)
Io parlo nel sonno (quando non faccio la sonnambula)

Tu a prima mattina non spiccichi parola
Io tartasso chiunque faccia colazione con me

Tu sei alto, longilineo e atletico
Io sono bassa e non ho il ventre proprio piatto

Tu sei un fashion victim
Io accosterei indifferentemente il giallo col fucsia

Tu sei ab negativo
Io ab positivo

Tu ti incazzi con lo sguardo
Io ci dispenso sarcasmi

Tu riempi l’agenda del cellulare di promemoria
Io mi appunto qualcosa su una moleskine priva di date, perciò le dimentico tutte

Tu vedi il mondo da una inquadratura fotografica
Io preferisco disegnarlo

Tu sei un po’ più figlio di mia madre
Io lo sono di più di tuo padre

Tu quando canti distruggi i timpani di chi ti malcapita vicino
Io ho una vocina niente male

Tu guardi la televisione con l’occhio destro
Io con l’occhio sinistro (colpa del mancinismo)

Tu hai deciso di partire e non salutarmi
Io ti scrivo ciò che non leggerai mai.

Buona fortuna.

giovedì 18 settembre 2008

zoom e grandangolari


Cos’è che mi dicevi ieri? Tutto inizia da un punto preciso…da un’immagine piantata nella testa e archiviata nelle caverne della memoria. Sì, caverne. Non è un termine gettato a caso. Ha un significato, per me.
Zone buie, volutamente nere. E poi luce accecante, che ti fa strizzare gli occhi.
E vicoli strettissimi, dove l’odore stantio dei ricordi è asfissiante. E distese di papaveri e margherite. E alberi di ciliegie. Rosse e corpose. Color di-vino. Il gioco del m’ama non m’ama, il nocciolo fra i denti.
Poi l’inverno. E l’illusione della neve che si mischia a pioggia, e lava via quella coltre biancastra che camuffa la 126 verde parcheggiata per strada. Resta una gelida melma. E il ciacchettio dei miei passi.
E poi i suoni...di cui le mie emozioni sono recettori.
Il rombo di una moto che mi raggela il sangue. Lo strepitio delle stoviglie che immobilizza ogni singolo muscolo, anche il cuore.
Il silenzio più loquace che esista.
Il sale che scende sulle labbra e il sospiro che ne segue. Un alito di vento rinfresca il viso umido. Pelle levigata, la malinconia negli occhi. E una forza inconscia che ti fa rialzare, anche quando non sai se sei caduta.
Non mi chiedere di sbobinare il mio passato. La mia vita è fatta di scatti fotografici. Ed io amo il contro-luce.

mercoledì 17 settembre 2008

La notizia è ufficiale: da gennaio sono a Milano....

(e stacchiamolo sto pezzo di cielo!!!!)

domenica 14 settembre 2008

Respiro...

L’immersione era stata inaspettatamente profonda. L’apnea troppo lunga, il cuore pareva essersi fermato, i polmoni ti scoppiavano. Il silenzio innaturale otturava i timpani, ottundendo la vita, che su scorreva anche senza di te.
Improvvisamente, inspiegabilmente, la risalita. Verso quella lastra celeste che segna il confine tra il torpore e la veglia, tra il non senso e la consapevolezza. Quella di aver fluttuato nel nulla e di essere stanchi.
Riemergi. Un respiro raccoglie tutti gli odori. Uno sguardo a campo lungo restringe l’orizzonte. Ora sei a galla. Riprendi la tua zattera, anche se non sai dove ti poterà. Per ora la bonaccia ti è favorevole. E questo ti basta.

venerdì 12 settembre 2008

Impressioni di settembre

Quante gocce di rugiada intorno a me
cerco il sole, ma non c'è.
Dorme ancora la campagna, forse no,
è sveglia, mi guarda, non so.
Già l'odor di terra, odor di grano
sale adagio verso me,
e la vita nel mio petto batte piano,
respiro la nebbia, penso a te.
Quanto verde tutto intorno,
e ancor più in là sembra quasi un mare d'erba,
e leggero il mio pensiero vola e va
ho quasi paura che si perda...
Un cavallo tende il collo verso il prato
resta fermo come me.
Faccio un passo, lui mi vede, è già fuggito
respiro la nebbia, penso a te.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono un uomo, un uomo in cerca di se stesso.
No, cosa sono adesso non lo so,
sono solo, solo il suono del mio passo.
e intanto il sole tra la nebbia filtra già
il giorno come sempre sarà.


(E finalmente fuori diluvia, e i pensieri s'inerpicano su un sentiero inaspettato. E li lascio andare, non mi va di oppormi al loro corso. Qualsiasi cosa ne venga fuori, io getto la spugna.)

mercoledì 10 settembre 2008

Tears

C’è che a volte ti serve un niente per sentirti tabula rasa. Così come ti accontenti di mandare giù un boccone amaro per ricominciare il massacro. Ovviamente di te.
Sperare di essere una delle sueanime salve”, ma la tua solitudine è solo indotta. Dovresti capire da chi. Da te stessa o da quella che il mondo vuole che tu sia. Tanto per cambiare non hai una risposta. Lasci la parola al tuo demone interiore. Lui sì che è saggio. E tienitelo stretto. Che tanto è l’unico che a squarcia gola ti scuote, e ti ricorda che se continui a sentirlo è perché sei ancora viva.

martedì 9 settembre 2008

Terrona e contenta

Sarà che sono in un periodo in cui mi girano vorticosamente, sarà che sono giorni in cui il mio borghetto me lo sto vivendo intensamente (causa sindrome attaccamento morboso pre-partenza), ma la voglia di infrangere qualche regoluccia si fa sempre più incontenibile. Una sorta di rito esorcizzatore per scacciare il maligno, quello scazzo intollerabile che pungola le mie giornate.
E allora il capro espiatorio diventano l’ordine maniacale, quell’aristocratic aplomb e quello chichossissimo senso civico che questa città da sempre vanta.
Per esempio…a tutte quelle botteghe incastrate nei vicoli della città, che ingannano il povero turista con una fittizia parvenza di “biologico made in campagna”, non vuoi fare guerra con un sano mercato nero delle ciliegie? Già mi immagino…autotrasportatori notturni in viaggio dal nostro sud, carichi di casse delle più svariate qualità di ciliegie…il tutto alla modica cifra di “2 euri al kg”. La stessa soluzione si potrebbe adottare per contrastare l’insopportabile tratta delle angurie, vivisezionate in micro fette e ammucchiate nel banco frigo della Conad. In terronia rispettiamo i diritti del “Mellone ad acqua”. Venduto con tutti i suoi 13 kg di leggerezza, puoi anche tamburellarci sopra prima di decidere quale scegliere tra i tanti presenti sul camioncino dell’ambulante.
Per non parlare del pane…è inutile, qui non sono geneticamente programmati per mangiare il signor Pane. Figuriamoci per farlo. E allora gli industriali fornai che fanno? Si inventano centinaia di nomi diversi per dar lustro a l’unica invenzione ammazza portafogli (un quadratino 15×15 te lo vendono a euro 1.60!!) di casa loro: ciaccino, ciaccino ripieno, ciaccino alle zucchine, ciaccino al lardo di colonnata…ma sempre ciaccino è.
In terronia invece…lì sì che si celebra il trionfo della farina…E allora quando il grano decide di fare l’amore con la patata nasce la focaccia; quando gli va di arrotolarsi su mozzarella e pomodoro e di farsi un tuffo in padella diventa panzerotto; quando invece ha voglia di abbrustolirsi a 200 gradi in forno diventa tarallo.
Giusto per citarne solo qualcuna di possibilità.
Ma andiamo avanti.
Che dire delle vecchiette tutt’imbellettate, trucco e parrucco, che a ottant’anni rimembrano ancora i passati gloriosi nelle gioiellerie e nei negozi più radical chic della zona?Ma come?? Se la senilità è una condizione universale c’è qualcosa che non torna… La mia nonnina raggiunge il massimo della soddisfazione quando ad ottanta anni la vedi infilata sotto qualche mobile, che non sia mai è andata un po’ di polvere. O quando la domenica si sveglia alle 5 di mattina per preparare quel sugo di ragù che, se non fosse per il colore, potrebbe essere scambiato per cemento armato per quanto è denso…(santa biochetasi).
Last but not least, quell’insofferenza che qui hanno alle public relations. Di certo non è una regola generale questa, ma sicuramente qui la gente non ha la nostra inclinazione alla chiacchiera pro cazzeggio.
Mi spiego con un aneddoto recente recente.
Da poco ho cominciato una collaborazione part-time (solo per etichetta tale, in realtà è full-time) presso l’ufficio borse di studio dell’Università.
Mi è stata data disposizione dalla mia capa di attenermi alle informazioni riguardanti esclusivamente il nostro campo di competenza, astenendomi assolutamente dal rispondere a quesiti che vadano oltre il parametro isee, borse di studio e posto alloggio. Al che, nel momento in cui qualcuno mi domanda dove possa essere una toilet, secondo quella, al pari di un mentecatto automa, dovrei rispondere qualcosa tipo “il motore di ricerca non ha trovato nessun campo di risposta”.
Ma acciderbolina…io me ne infischio!!
E così da pugliese doc, mi sono ritrovata a tarallucci e vino con una meravigliosa, super terrosissima famigliola siciliana, che dopo aver compilato i dovuti moduli, mi ha regalato sorrisi, ringraziamenti,e promesse di granite gratuite qualora mi fossi spostata dal continente. E tutto ciò sotto lo sguardo attonito della mia capa, che al glaciale muso stirato ha sostituito un tirato sorriso in similplastica.
Mica poco.

lunedì 8 settembre 2008

Il nulla.

La quiete dopo la tempesta.
Odio certi momenti di vuoto. Di idee, di parole, di racconti.
Ma intanto questo è.

(Tutta colpa di Saturno…)

giovedì 4 settembre 2008

Panta rei...


Notte megera. Notte assassina.
Notte crudamente sincera.

Notte di baratti, la mie favole in cambio del disincanto.
Notte di foglie secche, anche sei grilli ne cantano ancora la bellezza. Notte puttana, perché sa come vendersi al primo venuto e a lui regala le sue stelle. Notte di pioggia sul cuore.

Per l’ultima volta spugna. Lo giuro.

martedì 2 settembre 2008

Pensieri sconnessi...


Solo un’idiota può incaponirsi su di un disegno e tracciare e cancellare più e più volte 4 curve del cacchio, che dovrebbero dare l’idea di un paio d’occhi.
E sempre lo stesso idiota fissa la stessa foto per non so più quanto tempo, cercando di scoprire il segreto dell’espressività. Proprio non ci riesce a trasferire su un foglio bianco quello sguardo. Gli pare troppo sereno, talmente tanto da sembrare finto. E se ad una cosa non ci credi non è possibile farla propria. Perciò l’idiota riesce solo a guardare quegli occhi e provare ad immaginare una storia diversa da quella che hanno visto e vissuto. Magari molti anni dopo avrebbe voluto guardarsi allo specchio e vedere riflessa un’immagine diversa, con quegli occhi. Forse una figura minuta, un visino smilzo e spigoloso, una frangetta bionda ed un petto più modesto. Forse così avrebbe dato un’idea più coerente di sé, del suo riserbo, della sua timidezza, della sua a volte irreparabile fragilità. Chi ci crede che una riccia, mora, prorompente e sfacciatamente loquace arrossisce dinanzi ad un abbraccio e si impietrisce per un bacio rubato? Al massimo tre persone…lei stessa, suo padre (perché è convinto che la figlia a 25 anni non abbia mai avuto contatti eterosessuali) e la sua migliore amica (che è costretta a sorbirsi una cronaca balbettata e sospirata dell’evento).
Oggi pomeriggio l’idiota, a casa di una sua amica, non ha fatto altro che scrutare ogni movimento di lei mentre conversava al telefono con un ragazzo. Gambe accavallate, postura eretta, composta ed essenziale in tutti i suoi gesti. La trasgressione massima è stata lisciare i capelli sottilissimi e sistemarli dietro le orecchie. Ogni tanto sorrideva. Tono di voce pacato, quasi monocorde. Agli uomini si sa, piacciono le donne sicure, quelle che sanno sempre cosa dire, e che se anche non dicono niente è perché hanno il dono del mistero, mica perché sono mononeuroniche. Invece una conversazione telefonica tipica dell’idiota si svolge nel corridoio di casa, trasformatosi in una pista da jogging, in cui percorre i suoi 5 km nell’arco di 10 minuti, e tutto mentre si stacca decine di capelli dal cuoio capelluto perché le dita le si impigliano nel pagliaio che si ritrova. Tono di voce assolutamente incostante che passa repentinamente dal falsetto tipicamente usato nelle esclamazioni (con apposita figura di merda perché si è fatta sgamare l’entusiasmo) ai toni caldi e pacati per riassestare la fittizia modalità “take it easy” della chiamata.
Per non parlare poi dell’incapacità di trovare le parole giuste al momento giusto. Tacciata di insensibilità, l’idiota proprio non conosce il vocabolario del -pronto soccorso-la tua amica è qui-non temere. Infatti non ha mai vinto nessun premio come super amica del cuore, tutt’al più al liceo le arrivavano dalle retrovie dei bigliettini di ringraziamento per aver indotto grasse risate a compagne depresse e disperate. La parte del pagliaccio le è sempre riuscita bene, anche se Pierrot le piaceva più di tutti. Ma non lo interpretava mai. Guai a mostrare la malinconia, il suo romanticismo più dirompente, la tristezza e la nostalgia. In fondo chi ci crede che un’indifferente del suo calibro possa commuoversi leggendo Paolo e Francesca nel divino canto? Nessuno…se non chi, in quel momento, le ha sorriso e le ha tenuto la mano. E ha mantenuto il segreto.
E non avrebbe voluto vedere tanto altro con quegli occhi, l’idiota. Un’altalena da cui non riesce a scendere, che oscilla e non accenna a rallentare il suo movimento. Che la porta su in cima al mondo, le fa toccare le nuvole e le permette di strappare un pezzo di cielo, ma poi la ricaduta è brusca e velocissima, e sfiora il terreno arido e ghiaioso. E poi ancora su, e di nuovo giù, fino a farle scoppiare il cuore.
Si aiuta con le gambe, l’idiota. Cerca di frenare quando si avvicina al suolo e si dà la spinta per ripartire. Ma l’attrito a volte l’ostacola e preferisce lasciarsi andare all’inerzia. Magari, a tempo debito, con quegli occhi, avrebbe deciso di salire su uno scivolo…O forse l’altalena è una tappa obbligata?
Oltretutto è sprovvista di risposte, l’idiota. Ci sono cose che resteranno per sempre ignote. Ed è inutile che si arrovelli su mille interrogativi, che rimugini su capitoli ormai conclusi. Gli epiloghi vanno accettati come tali, e a nulla serve opporsi. Bisogna anche imparare a rinunciare a ciò che fino a poco tempo prima ci sembrava fondamentale. E’ una questione di stupide gerarchie, prima se stessi, le proprie aspirazioni ed esigenze, poi tutto il resto. Ma questo giochetto elementare proprio non le riesce, all’idiota. ( Che poi, che ca*o ci vuole? Tutto tempo sprecato quei regoli…). Lei è talmente tonta che certe volte si fa sorpassare da un ragazzo, da un’amica. Ma poi scopre che gli altri il giochetto dei regoli l’hanno imparato benissimo, oppure usano un’unità di misura differente.
E allora che fa? (l’idiota).
Si ritrova a scrivere sciocchezze in piena notte, dopo aver finalmente deciso di strappare quel disegno mal riuscito. Perché “la bambina ha una mano d’oro”- diceva un amico pittore di suo padre. Peccato però che gli occhi per poter guardare un foglio bianco non siano più gli stessi che aveva quella ragazzina della foto. Che idiota, l’Idiota.
Bonne nuit...tristesse.




lunedì 1 settembre 2008

Onde anomale...

Oggi proprio non mi sopporto. I tic nervosi sono vistosamente aumentati…oltre a quelle pulsazioni fastidiosissime della palpebra sinistra e alla fame chimica che mi ha fatto sbranare un intero rotolo alla nutella, si è aggiunta anche un’aritmia cardiaca che manco 30 gocce di tranquit me la farebbero passare.
E tra poco mi chiamerà anche mia madre, che dotata di straordinarie capacità rabdomantiche, smaschererà ogni vano tentativo di rilassata conversazione e darà inizio alla tortura psicologica per estorcermi informazioni sul mio stato d’animo. Poi passerà alla rassegna delle raccomandazioni chiedendomi 13 volte nell’arco di dieci minuti se ho mangiato. Sì, perché avrà letto da qualche parte (magari in qualche rivista che dà spazio alle campagne anti-anoressia, ma che campa dai servizi sulle varie barbie dello star system) che le figlie depresse disdegnano il cibo nei periodi di stress e si segnano gli occhi di nero per manifestare il loro dark-inside. Bè…non credo onestamente sia il mio caso. Ammesso che ce l’abbia un dark-inside (credo piuttosto di essere nel periodo “bianco accecante”, ma talmente accecante che non si intravede nemmeno un’ombra e non faccio altro che schiantarmi ripetutamente sullo stesso palo), trovo invece particolarmente seducente il banco frigo della Conad, la gelateria in Piazza e la pizzeria di fronte (accoppiata sacrosanta e vincente). E l’unico segno visibile della noia mortale che culla le mie giornate sono i miei ricci che ormai hanno la forma dei tentacoli di una medusa. O di un polipo…boh… Fatto sta che lo specchio mi sbeffeggia…oggi ho scoperto che c’è una crepa in alto a destra…feed-back, per quanto crudele, inequivocabile. Ma la mia contro-risposta, indifferente e superba, è lo sprezzo di maschere purificanti, creme idratanti e rassodanti e cosmetici di ultima invenzione, a favore del tanto amato-taglia xl-antisex pigiamino.
Lo so, l’inverno non è ancora arrivato, ma gli strascichi di un’estate sfavillante pare si siano dileguati insieme ad un’abbronzatura lavata via dal bagnoschiuma al muschio bianco…

domenica 31 agosto 2008

Temptations


Ho le papille gustative indemoniate oggi. Pigolano nel cervello nella speranza che ubbidisca ai loro dictat: “ apri il freezer, apri il freezer, apri il freezer”.
Ma la mia santissima, veneratissima e nobilissima forza di volontà lascia che il mio tondeggiante posteriore resti incollato alla sedia e cerca di distrarmi dagli infami richiami muovendomi le ditina sulla tastiera del pc.
Prova di resistenza faticosissima, un tete a tete con la siderale vaschetta di gelato alla panna, estenuante almeno quanto la corsetta di ieri sera, che è stata di mezz’ora solamente nelle intenzioni. La verità è che dopo un quarto d’ora di pachidermico incedere, le caviglie gonfie e la necessità di una respirazione bocca a bocca mi hanno costretta ad un gaudente retro-front che sarebbe stato compensato da una cenetta nell’osteria vicino casa.
Abbuffata sacrosanta a base di antipasti, secondo, contorno e mascarponatissimo tiramisù, tutto sotto la regia di un Bacco che ieri sera ha decisamente onorato i suoi commensali. A nulla sono servite la passeggiata digestiva e la biochetasi (la mia amica mi ha proibito il bicarbonato perché mi mangia lo stomaco-dice), quasi mi ci è voluto il carro attrezzi per tornare a casa e approdare sul letto.
A prima mattina, a stomaco vuoto, ho visitato la bilancia…la perfida ha segnato + 3…
…Quasi quasi lo finisco quel gelato così lo tolgo di mezzo.
“Riesco a resistere a tutto fuorchè alle tentazioni” (O.W.)

martedì 19 agosto 2008

Chiuso per ferie...


Una parentesi di silenzio lunga quasi un mese…e quante cose siano successe in questo ( relativamente breve) lasso di tempo non si possono immaginare…Ma ora non mi va di raccontare. Ovviamente nulla di catastrofico, visto che la piattezza e l’ovvietà di questo periodo della mia vita non concedono neanche qualche tsunami emotivo...l’apatia, la noia e l’insoddisfazione regnano sovrane, e l’attesa di qualche sfolgorante novità ribolle da qualche parte di me e, chetamente, aspetta di travolgere tutti i miei sensi…Non mi resta che aspettare e pazientare e non pensare. Tutte cose che mi riescono benissimo quando mi trovo nel mio adorato paesino, un angolino bruciato dal solleone e dalla routine, dove il massimo spasso consiste nel percorrere il modestissimo corso divorando granite al caffè ( fortunatamente con panna) e analizzando l’abbigliamento radical-chic dell’èlite paesana…o almeno, questo è ciò con cui certa gente qui ama intrattenersi. Molto meglio rifugiarsi all’ombra di una quercia a divorare more, o ancora di più, fuggire 25 km più a nord-est, verso quel meraviglioso scorcio di costa adriatica, e tuffarsi in uno specchio d’acqua verde smeraldo, nascosta da una natura selvaggia ma ospitale. La salsedine sulla pelle, il vento di scirocco, gli scogli ora piatti su cui potersi stendere, ora irti e appuntiti che abbracciano e proteggono un mare incontaminato, che in certi giorni non ha nulla da invidiare a quello di Laguna blu. E poi, la frutta di stagione e le chiacchiere con le tue amiche e le confidenze arretrate di un anno trascorso a distanza. E a forza di albe e tramonti passate alla stessa identica maniera, passano i giorni e arriva il momento di riaprire la valigia e accumulare sulla panca la roba da portare via. Ancora una settimana di rilassata noia…dopodiché si ricomincia...A bientot.

giovedì 24 luglio 2008

chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge, chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

P. Neruda

mercoledì 23 luglio 2008


Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,

dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.

Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,

dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,

dalle ossessioni delle tue manie.

Supererò le correnti gravitazionali,

lo spazio e la luce per non farti invecchiare.

E guarirai da tutte le malattie,

perché sei un essere speciale,

ed io, avrò cura di te.

Vagavo per i campi del Tennessee

(come vi ero arrivato, chissà).

Non hai fiori bianchi per me?

Più veloci di aquile i miei sogni

attraversano il mare.


Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.

Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.

I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,

la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.

Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.

Supererò le correnti gravitazionali,

lo spazio e la luce per non farti invecchiare.

TI salverò da ogni malinconia,

perché sei un essere speciale

ed io avrò cura di te...

io sì, che avrò cura di te

martedì 22 luglio 2008

Ho guardato dentro una bugia
e ho capito che è una malattia
dalla quale non si può guarire mai
e ho cercato di convincermi ...
che tu non ce l'hai.
E ho guardato dentro casa tua
e ho capito che era una follia
avere pensato che fossi soltanto mia
e ho cercato di dimenticare
di non guardare.
E ho guardato la televisione
e mi è venuta come l'impressione
che mi stessero rubando il tempo
e che tu...
... che tu mi rubi l'amore
ma poi ho camminato tanto e fuori
c'era un gran rumore...
che non ho più pensato
a tutte queste cose.
E ho guardato dentro un'emozione
e ci ho visto dentro tanto amore
che ho capito perchè non si comanda al cuore.
E va bene così...
senza parole... senza parole...
E va bene così, senza parole
E va bene così, senza parole...
E va bene così...
E guardando la televisione
mi è venuta come l'impressione
che mi stessero rubando il tempo e che tu...
che tu mi rubi l'amore
poi ho camminato tanto e fuori
c'era un grande sole
che non ho più pensato a tutte queste cose...
E va bene così...
senza parole... senza parole...
E va bene così, senza parole
E va bene così, senza parole.

venerdì 11 luglio 2008


"Più dei tramonti , più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.Che uno dice: è finita.No, non è mai finita per una donna.Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola.Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare.Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai.E sei tu che lo fai durare.Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita.Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane.Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto.Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa.Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: "Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così".E il cielo si abbassa di un altro palmo.Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua.In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata.Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento.Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine.Ed è stata crisi, e hai pianto.Dio quanto piangete!Avete una sorgente d'acqua nello stomaco.Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino.Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo.E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze!Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore."Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?" Se lo sono chiesto tutte.E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzleinestricabile.Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi?E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai.Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti.Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te.Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa.Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente.Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel.Parte piano, bisogna insistere.Ma quando va, va in corsa.E' un'avventura, ricostruire se stesse. La più grande.Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo.Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi.Ma soprattutto per noi stesse".Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia.Per chi la incontra e per se stessa.È la primavera a novembre.Quando meno te l'aspetti..."

Da "Donne in rinascita" di Jack Folla

lunedì 7 luglio 2008

Senza titoli


Mi ci voleva l’astrologo per capire che la devo smettere di guardare al passato, di rimuginare su quello che non è stato e arrovellarmi su ciò che avrebbe potuto essere.
E’ tutta la vita che i ricordi mi perseguitano, mi ci aggrappo e non riesco a scrollarmeli di dosso. Mi rendono indolente e sorda a tutti i possibili stimoli esterni che potrebbero allontanarmi dalla fossa in cui ho deciso di piantarmi.
Mi ci voleva una serata come quella di ieri per comprendere che il vicolo in cui fino ad ora ho brancicato è cieco, come cieca è stata la mia perseveranza che, recidiva, ha voluto insistere su qualcosa che mi aveva abbandonata molto tempo prima.
Eppure mi è bastata un’ora notturna, in compagnia di gente incontrata per caso, per rendermi conto che tutto quello che è stato non mi deve più appartenere. Le ultime parole biascicate con la sabbia tra le dita, l’ultimo sospiro, il cuore strizzato come una spugna privata dell’ultima goccia d’acqua… e via. Tutto scivola via, risucchiato dalle onde di un mare che sul fare della sera s’increspa, e la risacca porta con sé gli ultimi cocci di un’esperienza ormai conclusa.
Ho voglia di me, di ritrovarmi, o forse di rinascere. Ho bisogno di sentirmi diversa, non più in bilico tra la felicità e la paura di perderla, tra l’entusiasmo per un’occasione e la sensazione di non essere capace di affrontarla. Ancora una volta sono nuda di fronte a me stessa, la mia peggior nemica. Ma questa volta lo specchio per guardami dentro lo prendo io, non sarò l’immagine riflessa di qualcun’ altro.
Sono pronta a vivermi da sola la mia catarsi. Ho le labbra serrate ora, ma sono convinta che presto torneranno a sorridere. Non ho nulla da perdere ormai, se non il timore di credere in me stessa. Comincia il countdown.

mercoledì 2 luglio 2008


...25!!!!

martedì 1 luglio 2008

Ad una persona speciale...


Lo so che non stai bene, lo sento dalla tua voce. Vorrei tanto poterti aiutare, ma in questo momento ho le mani legate. Non mi sono mai spiegata come mai il tuo dolore lo senta così mio. Così come ogni tua singola lacrima riga il mio viso, vorrei anche riuscire a sorridere con te. Stellina è un momento…e se senti che il tuo demone ora sta avendo la meglio, non ti arrendere. Sei capace di una forza inaudita, la stessa che ti ha riportato a galla in tempi passati. Devi solo riscoprirla, e vedrai che la spinta sarà così forte e impetuosa che di colpo ti ritroverai ad essere felice. Lo so che dall’alto del tuo pragmatismo super scettico e cosmicamente ( e per fortuna momentaneamente) pessimista, penserai che ho una visione troppo romanzata delle cose. Ma in certi momenti estraniarsi dalla vita reale e vederla come un romanzo ti aiuta a capire il perché del suo intreccio. E ne conquisti il senso.
Purtroppo diventare “grandi” comporta delle sofferenze, ma il detto eracliteo non mente mai…”tutto scorre”. L’importante è cercare di sfruttare opportunamente la corrente.
E per quanto riguarda il tuo cuore desertificato, sono sicura che tornerà ad essere fertile. Credo che sia un terreno talmente raro che trovare il concime giusto non è cosa facile. Sei meravigliosa, e purtroppo chi fa parte di una certa minoranza è destinato a patire. Ora pensa a salvarti, colui che riuscirà a starti accanto prima o poi si farà trovare.
Queste sono solo parole, ma aldilà di un certo grado di retorica, sai bene che ti basta pensarmi ed io tenderò l’orecchio…

giovedì 19 giugno 2008

Meno di una settimana al mio giorno.

Più un giorno alla mia decisione (che dopo tanti piagnistei è finalmente e serenamente arrivata).

Circa due mesi alla mia laurea (forse).

Circa 2 settimane al mio 25esimo compleanno.

Poco più di un mese al trasloco dal mio appartamento a chissà dove.

Meno di quattro mesi di permanenza in questa città.

Meno di quattro mesi per decidere cosa farò della mia vita.

Più di 10 anni di crolli e di unghie spezzate a grattar il fondo.

Dopo 10 anni ce l’ho fatta a capirci qualcosa.

Quindici minuti di esagerata fiducia in me stessa.

Ho bisogno di un cambio di rotta. E’ il momento propizio.

venerdì 13 giugno 2008

Stereotipiche diversità

Sebbene questo sia il periodo meno indicato per vivere la città e tutte le sue main streets (soprattutto se il tuo passo non è proprio rilassato, ma anzi è mosso da una fretta che affastella i mille impegni, incastrati nelle 12 ore di veglia, e le orde barbariche di turisti e ragazzini in gita ti intralciano il cammino), a volte mi capita di trovare particolarmente piacevole ed interessante osservare la varietà della specie umana e le diversità dei comportamenti dei suoi rappresentanti.
Croce e delizia di una città d’arte e pullulante di storia e tradizioni, il crogiolo razziale di cui si può godere nei mesi estivi qui a Siena è davvero cosa notevole.
Tutti i vicoli di questo ridente borgo toscano sono intasati di cinesi, giapponesi, americani, spagnoli, tedeschi, Inglesi e via dicendo, che organizzati in gruppi d’età differenti, pretendono in uno o due giorni di capirci qualcosa di Cecco Angiolieri, Pià de Tolomei, Enea Silvio Piccolomini, e riducono ad una goliardica corsa tra cavalli alla conquista del celebre cencio, quella pluricentennale tradizione che è il Palio. Probabilmente il mio è il tono sussiegoso di chi sa che la cultura italiana è superiore per lo meno a quella d’oltreoceano, e che quindi si gonfia e si impettisce di fronte a questa constatazione oggettiva dei fatti (ultimo appiglio per non far scivolare giù, nel fondo più profondo, il Bel Paese ormai alla deriva sociale, politica ed economica).
Ma, devo ammettere che, questo coacervo di razze, rende più animata e colorata una città che altrimenti sarebbe tinta solo di terra di siena (anche nell’etichettare il colore tipico dell’architettura questa città risulta autoreferenziale ).
Questo argomento fa riemergere ricordi lontanissimi, risalenti ai miei primi anni di scuola elementare, di cui però voglio servirmi per sostenere ciò di cui, di qui in seguito, andrò raccontandovi. Mi riferisco all’acquisto di un libro, dalla casa editrice improbabile, visto che si trattava di uno di quei volumetti che ti rifilano rappresentanti truffaldini, infilatisi nella scuola per tentare di vendere almeno 3-4 delle 20 copie che possiedono, dal nome “Gente”. Era un libro illustrato, con poche frasi didascaliche a corredo delle immagini, dalla copertina rigida in cartoncino, sgargiante di mille colori, che tentava di classificare la tipologia umana, sulla base delle diverse caratteristiche somatiche. Tripudio dello stereotipo, questo reperto archeologico, accuratamente incelofanato e conservato da mia mamma tra gli scaffali della libreria, sezione “A.- scuola elementare- italiano”, mi risulta particolarmente opportuno per differenziare questa massa altrimenti informe di turisti.
Eh si, sarò pure impedita, ma io ancora non riesco a distinguere cinesi e giapponesi, se non sulla base di “musi gialli” e “occhi a mandorla”, e forse sull’impressione che i secondi abbiano la faccia più larga (effetto schiacciata) dei primi; o che le donne cinesi, spesso e volentieri, abbiano l’aria sfatta delle casalinghe sfruttate e delle madri frustrate con circa 10 figli a carico…(non foss’altro perché nei pressi di casa mia c’è un china restaurant gestito da una famiglia di questo tipo...). Cmq, a parte certe peculiarità somatiche, il loro modo di riversarsi ed occupare le strade è pressappoco simile: gruppone di circa 20-30 persone, tutti in fila, mascherine (forse) anti-smog per gli ultra 50enni (come se loro provenissero tutti da chissà quali oasi esenti da ogni tipo di inquinamento…mah!) e abbigliamento stile manga per i teen-agers (in realtà è una categoria che si allunga sino ai trent’enni, che però, per qualche vigoria fisica inconsulta, mostrano la metà degli anni). E poi, l’atteggiamento giulivo e avventuroso con cui si aggirano per la città, quel sorriso paretico, che mostra quei denti che sembrano delle canne d’organo, e quella faccia da faina…come se fossero gli ultimi boyscout alla scoperta dei misteri del mondo… che in quei momenti in cui ti girano vorticosamente ti viene solo da dire “che ca..ridi?!”…
E poi ci sono gli Americani, su cui si potrebbe scrivere un’epopea del luogo comune, se non altro per vendicarsi della riduttiva e poco originale equazione con cui ci appiccicano cliché da sempre (italia = pizza; = spaghetti; = mandolino; e così via…). Proprio loro, che si riconoscono fra tutti…personalmente li riconosco anche dai piedi…così sproporzionati rispetto al resto…
E poi quello “starnazzare” tipico con cui apostrofano ogni loro aprir bocca (per il rispetto dei diritti d’autore, ci tengo a precisare che non sono io la creatrice di questa azzeccatissima espressione)... tono invariabile, a prescindere dal tasso di alcool che circola nel sangue.. anche se, a giudicare dalle infradito e dalla scollatura vertiginosa anche in pieno inverno, quest’ultimo dovrebbe essere piuttosto elevato! Anche perché, eccezion fatta per gli eschimesi, credo sia l’unico motivo con cui ti spieghi come mai non stramazzino al suolo assiderate, anzi congelate…
E ancora, come si può sopportare quella esaltazione, che con forza bruta e inspiegabilmente femminea , ti scaraventa contro un muro per scattarti una foto, mentre tu stai bevendo pacificamente del buon vinello nella tua contrada (di temporanea adozione, sia chiaro) in festa, e l’unica spiegazione alla tua faccia attonita e sperduta è la seguente: “Oh….you’re so pretty…typical italian girl!”….No…non si può accettare una barbarie simile…non dico che devi pagarmi, visto che mi stai usando tipo fenomeno da baraccone, ma almeno chiedimelo per favore…
E vabbè…ti ricomponi dicendoti che so americani…semplice formula che chiarisce ogni irriducibile interrogativo.
Sugli inglesi non c’è da dire molto, loro sono così composti, così “british”, sono cittadini del mondo, abituati a viaggiare. Camminano per la via così discretamente, che se non fossero biondini e con le lentiggini nemmeno li noteresti. Sono i tipi da museo, da mostre in anteprima, al massimo da ristorantino in Piazza del Campo alle 7 di sera.
E infine, degni di nota sono anche i tedeschi. Quelli si che si sono letti il manuale del perfetto turista. Cartina della città alla mano, pantaloncino sahariano e scarpette da ginnastica lui, vestitino in lino lei, scrutano i vicoli più anonimi della città con la stessa attenzione con cui ammirerebbero gli affreschi del Duomo.
Il problema sorge nel momento in cui, ti chiedono come raggiungere la fontana del cavallo da Fonte Branda….
A parte che a Siena io ignoro una fontana del cavallo, ma ammesso che una intuizione brillante ti fa pensare che possa essere dalle parti di porta Pispini, il problema serio è un altro… Ovviamente le informazioni gliele devi dare in inglese…
…Traduzione simultanea italiano-inglese… accento british-barese… balbettii vari…vabbè, stendiamo un velo pietoso!


Alla luce di questa estenuante rassegna dei “tipi umani”, non penserete mica che io abbia una visione limitata del reale??In fondo lo stereotipo è un semplice veicolo di conoscenza…d’altronde che v’aspettate da una che confonde ancora la destra dalla sinistra??? Colpa del mancinismo…

lunedì 9 giugno 2008

Mon cheveux!


So che ho già pubblicato il mio post quotidiano...ma non ho resistito di fronte a questa immagine...mi sto sganasciando dalle risate...Il Delfino di Francia c'est moi!!

Di domenica sera...


Un’ “illogica allegria”. Una sensazione indecifrabile, improvvisa e travolgente.
Il cielo si è rasserenato, le nubi lasciano campo libero a qualche sprazzo di azzurro, ormai opacizzato dalle luci della sera. Le gazze intonano le ultime note, stridule e rauche. Forse è la loro protesta contro un’estate che tarda ad arrivare.
Le ante della finestra spalancate, un forte odore di rosmarino entra in casa, e a parte Giorgio Gaber che canta, la città sembra assopita e silente.
Per la prima volta negli ultimi anni pensi a casa tua con bonaria nostalgia. A tua mamma, in pigiama che starà cenando con una frisa; a tuo padre, invecchiato di 10 anni, che con una torcia si fa luce nel viale e accudisce i suoi segugi. Ai tuoi fratelli, che in qualche modo staranno cercando di inventarsi una vita fuori casa.
Ed tu lì, adagiata su quel divano, che insegui le parole giuste, quelle che possano vestire meglio le tue emozioni, così volatili ed aleatorie.
Azzardi un resoconto dei tuoi ultimi anni…impossibile riuscirci. Tante cose in sospeso. Troppe ancora intentate.
Non poche le occasioni perse. Alcune le hai volutamente ignorate, altre le hai trascurate per indolenza. Altre ancora le hai annusate, sfiorate, ma ti sono scivolate via. Forse ci sono cose fatte apposta per essere intraviste e trovano motivo di esistere solo nel momento in cui si consumano. Se ne ha coscienza solo nel loro epilogo, a partita finita, quando ormai lo scacco è matto.
E non c’è ritorno, non c’è rivincita.
Hai avuto i riflessi troppo lenti. Forse è colpa della tua sordità a ciò che non sia convenzione, abitudine, al routinario andamento degli eventi. Sarebbe preferibile non capire, se la consapevolezza di ciò che ormai ti è sfuggito deve essere così tagliente. Sensi di colpa? Tanti, ma probabilmente inutili. Non hai voglia di accartocciarti nei rimorsi…quelli rendono incolore tutto ciò che resta. Perché qualcosa resta sempre.
Hai perso un treno, ma ne arriverà un altro sicuramente. E tu avrai imparato a guardare fuori dal finestrino. E a capire se scendere o aspettare una coincidenza.
Ti dispiace…ma ora devi svoltare, devi credere che quello che verrà sarà meglio di ciò che c’è già stato.
Un sospiro alleggerisce quella torbida sensazione di tristezza ed ansia che ti soffocava. Inaspettatamente forte, sicura e serena perché stasera ti senti bene. Citando Gaber: “…eh sto bene…io sto bene come quando uno sogna…na na na na na na…”

giovedì 5 giugno 2008

Sogni e ricordi...

Stanotte le ho sognate. Strano questo “incontro”. L’ultima volta che le ho viste è successo in maniera del tutto inaspettata, al cimitero, sotto Natale. Loro due sono sempre uguali, sempre in coppia, stessa acconciatura, stesso cappotto. Di panno nero, con i bottoni dorati quello di Giovanna; grigio, modello montgomery quello di Cenza. D’altronde, da quando vivo a Siena, ogni volta che ritorno nel paesello, quasi tutti gli incontri sono dettati dalla casualità. E’vero anche che allontanarsi da casa ti fa capire cos’è che hai apprezzato di più della tua vecchia vita, cos’è che resta e che vuoi tenerti stretta nell’angolo dei ricordi. E allora, anche il semplice gesto di salutarsi e abbracciarsi fugacemente per strada, assume tutto un altro valore se a farlo sono determinate persone, quelle che pur non vedendoti spesso, sanno praticamente tutto di te, perché sono il tuo passato, la tua infanzia, le tue emozioni più vere.
Ho riaperto gli occhi con il cuore gonfio di un affetto così genuino e sincero, che non ho resistito al desiderio di richiuderli per un attimo e lasciarmi andare ad un dolcissimo flash back che mi ha riportato indietro nel tempo, a più di 15 anni fa.
Sgattaiolavo fuori dal negozio di papà, e mi piaceva percorrere quella stradina saltellando un po’ di su di una gamba, un po’ sull’altra. D’estate, davanti alla porta c’era una tenda di rafia che, insieme all’odore del pane fresco e dei salumi, impregnava tutta la bottega. Era un ambiente minuscolo, quattro mura riempite di tutto ciò che una drogheria può contenere: spezie, generi alimentari, prodotti per la casa…e tutto incastrato in modo tale da non lasciare nemmeno un spazio vuoto. Un disordine piacevolissimo alla vista, perché dava la sensazione dell’abbondanza.
Il mio angolino preferito era quello della pasta, perché si creavano pile altissime in cui si alternavano i fusilli alle penne, gli spaghetti alle tagliatelle, i semi di melone alle stelline. E mi divertiva risistemare il tutto laddove mi sembrava non ci fosse armonia. E poi, ai piedi di queste colonne, c’erano dei sacchi pieni di legumi freschi e ci godevo quando vi immergevo la mano.
Al bancone non ci arrivavo, riuscivo solo a poggiarci le mani stendendo le braccia e sollevandomi sulle punte. Perciò un giorno decisi di impossessarmi dello sgabello di legno ripostovi alle spalle. E s’immagini la delusione che ho provato quando, all’età di 7 anni, ho scoperto che in realtà non era una mia esclusiva: un’altra bambina, dai capelli rossi, e la sua sorellina più piccola, riccia e mora, vi si accomodavano quando io non c’ero.
E anche per loro Giovanna preparava lo sfilatino con il galbanino e bevevano thè al limone.
E chiacchieravano con le “signorine” con la stessa spontaneità con cui lo facevo io.
E’ stata la prima volta che ho provato una timida gelosia che però, ben presto, ha lasciato il posto alla più importante amicizia che io abbia mai avuto.
Voglio condividere con voi questi ricordi, perché come me quella bottega non l’avete più vista. E sono sicura che come me, ogni volta che ci passate davanti e trovate una saracinesca logorata dal tempo che scorre inesorabile, vi sobbalza il cuore. E non potete fare a meno di ripensare a quei grembiuli colorati, alla carta che avvolgeva il pane ( ma che Giovanna utilizzava anche per farci le operazioni in colonna, con l’inchiostro blu), alla pedana in legno su cui ci piaceva tanto camminare, solo perché i nostri passi, ancora troppo leggeri, facevano un rumore cupo e pieno, che ci dava l’impressione di portare i tacchi.
....Chissà che suono farebbe ora quel piccolo soppalco, anche se, nonostante siano passati così tanti anni, i tacchi non li portiamo comunque....

mercoledì 4 giugno 2008

Thanks giving post

Eccomi qui, dopo qualche giorno di silenzio, provo a gettare giù qualche verso. Primo perchè c’è stato qualcuno che mi ha rimproverato di trascurare il mio blog, secondo perché scrivere per me è una via di fuga, un modo per sfogare tutte le ansie e le inquietudini, ahimè, peculiarità irreparabili del mio carattere. E questo è uno di quei periodi in cui Mikado è irrimediabilmente altalenante, preda fin troppo facile dei suoi stessi umori, al limite della schizofrenia. E quello che la fa sentire più impotente è che in questo turbinio di emozioni incontrollate risucchia anche chi non dovrebbe entrarci, chi con lei non dovrebbe spartire nulla, non in questo momento almeno.
Vorrei poter scrivere qualcosa di più divertente, di più leggero, e non le solite litanie che da un mese a questa parte affliggono le orecchie di chi, volente o nolente, è sempre pronto ad ascoltarmi. E state tranquilli, perché tanto vi risparmierò questa sofferenza.
Questo post non parlerà di me, ma lo dedico a chi, da sempre o da poco, mi è vicino. A chi ho sempre amato e a chi spero di poter amare.
A chi posso chiamare in qualsiasi momento, del giorno e della notte, perché tanto so che risponderà; a chi è sempre pronto a mettere da parte se stesso (e anche l’esamone di medicina interna), perché di me non vuole perdersi proprio nulla, soprattutto un pianto devastante di venerdì sera; a chi riesce sempre a farmi ridere e commuovere contemporaneamente, perché tutto quello che dice di me è talmente vero (tranne i nomignoli), che la migliore risposta alle sue dolcissime imputazioni sono un sorriso o un paio di occhi lucidi; a quel filo diretto Bari- Roma- Siena, che nonostante gli anni passino, non si è mai spezzato ed ho la sicurezza che mai succederà.
A chi, una sera, complice Bacco, si è fidato di me e da quel momento allieta le mie serate a suon di aperitivi e passeggiatine lungo il corso (che ne dici di cambiare il disco????).
A chi, è sempre pronto a mettere tavola e a sorbirsi le mie insoddisfazioni, nonostante un’estenuante giornata di lavoro (a Lourdes devi andarci comunque).
A chi, nonostante le incomprensioni e le mancanze, è sempre lì, in quel di Sperandie ad aspettarmi per cena.
A chi, a prima mattina, con gli occhi ancora socchiusi e le fette biscottate inzuppate nel latte, si sforza di seguire il resoconto della mia serata precedente.
A chi riesce sempre a farmi sentire la benvenuta (o dovrei dire la bentornata???) non appena varco la porta di Fontebranda.
A chi riesce a non farmi sentire sola, perché ho una fottuta paura di tutto quello che verrà, e non ho vergogna ad ammetterlo. Grazie di cuore.

martedì 27 maggio 2008

Certi risvegli...

Risveglio troppo mattiniero quello di oggi…alle 7.30 la sveglia di Frà ci ha destate da un sonno non troppo profondo…qualcosa deve essere andata storta stanotte...(a parte i mal di pancia della mia coinquilina).
Con gli occhi ancora socchiusi, col fare meccanico di un automa, ho rispettato anche stamattina i soliti rituali che decretano l’inizio di un’altra giornata: preparare il caffè, sciacquarmi il viso con acqua fredda, accendere il computer per ascoltare De Gregori e spalancare la finestra della cucina. E proprio nel fare di quest’ultimo passaggio ho capito cos’è che aveva inquietato il mio riposo notturno: è arrivata l’estate.
E ammirarla da qui, dalla finestra della mia cucina, toglie davvero il fiato…quanto è bella Siena in questo periodo…i colori, i profumi, i tetti che sorridono al sole, San Domenico imponente, grandioso, magnifico, un tempo mi disorientava, ora mi rassicura.Non credo si possa descrivere il piacere di sedersi sul davanzale della finestra e incantarsi, senza accorgersi che è già 20minuti che sei lì a fissare il solito, immutato ma meraviglioso quadretto…e non ho intenzione di farlo. Anche se ancora per poco questa poesia è solo per me.

lunedì 26 maggio 2008

"Quanto più elevata è la sensibilità, e acuta la capacità di sentire, tanto più assurdamente freme e si turba per cose insignificanti. Ci vuole un'intelligenza prodigiosa per lasciarsi angosciare da una giornata buia. L'umanità, che è poco sensibile, non si angustia con il tempo che fa, perchè fa sempre un qualche tempo; non bada alla pioggia fintanto che non le cada addosso.
La giornata, grigia e fiacca, è di un caldo umido. Da solo, in ufficio, passo in rivista la mia vita, e quel che vedo è come la giornata che mi opprime e rattrista. Mi rivedo bambino felice con nulla, adolescente pieno di belle speranze, virile senza gioia nè ambizione. E tutto questo è trascorso nella fiacchezza e nel grigiore, come la giornata che me lo fa rivedere nella memoria.
Chi di noi, voltandosi indietro sulla strada da cui non c'è ritorno, può dire di averla seguita come avrebbe dovuto?"

venerdì 23 maggio 2008

Pregiudizio, giudizio...e postgiudizio

Stamani il mio risveglio non è stato caratterizzato, come quasi sempre succede, dalla brusca sensazione di essere catapultata dalla dimensione inconsistente, vuota e incolore del sonno più profondo, a quella piena, brulicante e variopinta che pare essere quella reale…No…perché a scacciare violentemente Morfeo ci hanno pensato certi pensieri, che evidentemente stanotte non gli avranno dato pace e che, shakerati per circa 9 ore, mi si sono presentati a colazione…Perciò, sono costretta a bere questo cocktail di riflessioni, senz’altro multivitaminico, ma dal retrogusto leggermente amarognolo...
Il beverone è fatto sostanzialmente di tre ingredienti: il pregiudizio, il giudizio e il postgiudizio. Per essere certa del significato di ognuna di queste tre parole mi affido
allo Zingarelli, e comincia la ricerca.
Allora, alla voce pregiudizio il dizionario recita: “Idea ed opinione errata, anteriore alla diretta conoscenza di determinati fatti o persone, fondata su convenzioni tradizionali e comuni ai più”. E qui, nulla da dire, visto che purtroppo nella natura umana è insito un meccanismo del genere e, sebbene ci si sforzi di scrollarselo di dosso, la perversa logica del pre-giudicare sfugge anche al più rigido controllo. Ma l’arma di difesa di chi subisce tale perversione potrebbe essere l’incipit della suddetta definizione: “Idea ed opinione errata”, e quindi finchè uno ne ha le forze potrebbe ovviare con l’indifferenza.
Le cose si fanno più serie in relazione al giudizio, di cui il vocabolario dice: “Facoltà propria della mente umana di confrontare, paragonare, distinguere persone o cose”.
Nonostante il giudicare afferisca sempre e comunque alla dimensione soggettiva di un individuo (quindi resta a tutti gli effetti un’opinione, a prescindere dal grado di attendibilità che essa abbia), sicuramente un ruolo più autorevole rispetto al suo nefando cugino ce l’ha. Si presuppone infatti che l’atto del paragonare nasca dalla conoscenza (rimarco: soggettiva) delle entità che si confrontano.
Quindi il giudizio, quando non è motivo di fierezza, scaglia una sentenza più o meno crudele, ti punta il dito contro dall’alto di una scalinata, della serie “je t’accuse”, ma fortunatamente (a meno che non si tratti di una sentenza giudiziaria) sei ancora tu ad avere l’ultima parola, a decidere se risalire energicamente la gradinata o cambiare direzione e prendere la scala B.
E infine c’è il postgiudizio, neologismo coniato da una persona a me cara durante una delle nostre frequenti “disquisizioni”.
Ripensando al contesto in cui questa parola è stata pronunciata, mi viene da pensare che essa possa considerarsi come il pater familias del ceppo chiamato in causa; la massima espressione del termine “giudizio”, quello più ponderato, più razionale, forse più attendibile (benché resti, rimarco in rosso, soggettivo), in quanto è la summa di tutti gli atteggiamenti, comportamenti, azioni e gesti della persona postgiudicata. Ma proprio tutti. Convenienti e non, apprezzabili e disprezzabili, piacevoli e spiacevoli. E soprattutto, proprio per il profondo rispetto che attribuisco al valore di questa parola, credo che chiunque si arroghi il diritto di postgiudicare lo debba fare con la sicurezza di conoscere davvero l’altro… e oltrettutto, deve avere l’umiltà di porsi come il rispettivo termine di paragone…
…Di qui, mi permetto di inventare un ulteriore lessema che non ha pretese di autonomia di significato, se non tra queste righe: AUTOGIUDIZIO.
Ma mi rendo conto che per noi poveri mortali questo “auto-processo” sia impresa ardua e sconveniente...molto meglio pregiudicare, giudicare e postgiudicare.
E se poi vi rendete conto di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato…beh, sappiate che il postgiudizio è irreversibile!

… Nonostante io ami vivere tra la gente, a volte uno stile di vita eremitico mi stuzzica non poco la fantasia…

giovedì 22 maggio 2008

Tempo perso

Pubblico questo post anche se è stato scritto un po’ di tempo fa, ma spesso mi capita di guardarmi indietro per capire se da quel punto mi sono mossa…


Dovrei impegnarmi a scrivere una tesina che non ho voglia di scrivere. Dovrei impiegare le mie energie nella stesura di un indice a cui non ho voglia di pensare. Dovrei impegnarmi a progettare un futuro che mi piacerebbe tardasse ancora un po’ ad arrivare e di cui ho una paura incredibile…Dovrei imparare a mettere da parte certi pensieri e rimandarli a momenti più opportuni, ma a volte il mio desiderio di scrivere si fa talmente impellente che non riesco a concentrarmi su nient’altro fino a che non svuoto la mente dai mille pensieri confusi, contorti e in perenne lotta fra di loro che mi privano dell’effimera tranquillità a cui di tanto in tanto mi affido. Sono un’illusa a credere che una volta riversati su un foglio bianco possano dileguarsi, così come la nebbia lentamente lascia spazio al tepore di un sole pieno e limpido, ma al richiamo dei miei deliri non so resistere e perciò do il via a questo lento e probabilmente fittizio delay.
Tabula rasa, mi ripeto. Voglio diventare una tabula rasa, proprio com’era questo foglio bianco prima che cominciassi a sporcarlo del nero delle mie incertezze, delle mie paure, delle mie congetture.
“Viviti quello che la vita ti offre”: questo è il comandamento di chi sa affrontare le cose con una spavalderia ed un coraggio che temo non mi appartenga. Questo è il consiglio che chiunque (compreso me stessa) è pronto a propinarti ogni volta che il tuo cuore non riesce a trovare una soluzione che riesca a capacitare la ragione. Questo è l’alibi dietro cui nascondersi quando ti rendi conto che stai avvallando qualcosa con cui prima o poi dovrai fare i conti. La verità è che non si può vivere alcuna situazione senza pensare al dopo, almeno io non sono capace di farlo. Sarà la mia propensione naturale all’ottimismo e alla voglia di star bene, sarà la mia preoccupazione di preservarmi da altre sofferenze, sarà il mio irrefrenabile desiderio di fare voli pindarici e di sognare ad occhi aperti, ma io proprio non ce la faccio a vivere minuto per minuto. Perché ogni cosa che io faccio è sbilanciata in avanti; ogni cosa in cui credo mi piace a tal punto da desiderarla per sempre; la mia voglia di te è talmente grande che io so che domani ti vorrò ancora. E sono talmente folle da pensare che domani sarà ancora meglio di oggi.
Il mio tempo e le emozioni che lo scandiscono sono profondamente vissuti, succhiati con avidità dalla brama di possederli, fino ad avvertire la dolcezza o l’amarezza dell’abbraccio con cui avvolgono tutti i miei sensi.
E’ a causa di questa pienezza che parlare di minuti mi sembra troppo riduttivo; e allora penso che dopo quel minuto ce ne sarà un altro, seguito da altre ore e da altri giorni. Da qui il mio vano tentativo di guidare il tempo con i sogni, la speranza di un domani felice e l’illusione di poterti avere accanto, sempre.


…forse qualche passo l’ho fatto, ma dovrò bruciarne di suole….