giovedì 30 ottobre 2008

Una collezione di calzini

Più di due minuti a fissare i propri piedi possono far pensare che al di là di un feticismo troppo scontato per essere reale ci sia dell’altro. Magari una delle mie inutili, fuligginose e spicciole idee dietro cui il mio altrettanto spicciolo cervello perde i pomeriggi interi. Come questo.
Motivo del mio interesse: i miei calzini turchese. Il quarto strato della mia pelle.
E poi, i miei calzini turchese sopra i pantaloni del pigiama. Quinto strato.
Lo so, queste righe richiamano delle immagini che non possono che provocare un crollo della libido in chi mi legge. Espierò le mie colpe a tempo debito, ma non è questo il punto.
Credo sia maniacale il mio tentativo di soffocarmi. Di occludere ogni spiraglio d’aria per trattenere il calore. O per evitare di sentir freddo.
Basti vedere il mio letto. Fatto di lenzuola, piumone, plaid 1 e plaid 2.
La mia mise notturna: canotta, pigiama in flanella, felpa se fuori c’è una temperatura inferiore ai 6 gradi centigradi.
Le mie passeggiate invernali: si intravedono solo gli occhi.
Siamo ancora ad ottobre, ma per prevenire malanni meglio coprirsi.

lunedì 27 ottobre 2008

L'altro chiaro di luna

Fa rabbia guardarsi indietro e sentire ancora il terreno ruvido sotto la pancia.
Ti graffia ed è così incisivo da staccarti un brandello per volta la dignità. Quella conservata vicino al cuore. E ti crogioli nell’umiliazione di quel dolore, quasi te ne compiaci. Perché a volte si pensa che quel che brucia ha un valore troppo alto per poter lasciarsi sfuggire anche l’ultimo granello di cenere.
Cazzate. Solo un mare di cazzate.
La verità è che ci sono “contingenze” che ti rendono schiavo dei tuoi stessi desideri e non riesci a capire che sono solo tra le più effimere delle illusioni. E quando riesci a guardarli dall’altro chiaro di luna allora ti accorgi di quanta te hai perso per strada. O peggio l’hai consegnata a qualcuno o qualcosa che non te la restituirà più.
Ma questo è il gioco perverso degli amori sbagliati, degli sguardi deviati, delle parole sprecate. E non si impara mai. Quel che si può fare è imparare a reinventarsi, finchè se ne ha la forza. E credere che c’è sempre, ma proprio sempre una via di uscita. Dove porterà non si sa. Tutto sta nel saper aspettare.


sabato 25 ottobre 2008

Datemi un'ora di yoga...

Probabilmente non c’è nessuna connessione tra gli Smashing Pumpkins, una maschera al cetriolo, una tesi di laurea e il desiderio di piazzarmi qualche oretta nella Feltrinelli. Cioè..un motivo ci sarebbe, ma forse è solo quello apparente. La meteoropatia è una mia malattia, lo riconosco, ma una giornata di sole non può produrre così tanta endorfina. Mi informerò.

Fatto sta che il mio pessimo senso organizzativo cerca dei tappabuchi, degli escamotage con cui mantenere sottocontrollo una elettricità completamente imprevedibile. Oggi sarei capace di tutto e quel che mi preoccupa è che ho prelevato proprio ieri sera. Dovrò cercare di evitare le profumerie o le erboristerie.

Meglio passare a De Andrè….ma perché mi viene di ascoltare Il Bombarolo????

Dovrei bere meno caffè la mattina.

Torno al mio L’Europeo.

sabato 18 ottobre 2008

Vento in faccia...(parte seconda)

Perché a volte si può decidere di mandarla a quel paese la tristezza.
Ma raramente c’è qualcuno che decide di farlo per te.
Oggi è successo. Oggi una signora rossa mi ha chiesto di montarla e di lasciarmi lambire dal vento. Già, vento in faccia.
E gli occhi avrebbero voluto chiudersi sotto la mascherina del casco, ma non ce l’hanno fatta. Non hanno resistito alla voglia di perdersi tra le pieghe di quelle distese multicolore. Hanno lasciato che i miei sensi si trastullassero tra quelle lenzuola di terra arata, riscaldata dagli ultimi raggi di un sole d’autunno. Sembrava velluto.
Ed io lì, avvinghiata al silenzio del mio conducente, che ammortizzava ogni nostalgica curva dei miei pensieri.
Vorrei poterla ringraziare questa signora rossa. Oggi mi ha fatto sentire meno sola.
Ma io non so parlare, so solo farmi lambire dal vento e sorridere.


mercoledì 15 ottobre 2008

Tra me e me...

Poca ispirazione stasera. Solo voglia di imprimere segni. Di sporcare il bianco noia di questo foglio. Non ho la rilassatezza per ritrarre. Solo schizzi. Bozze di pensieri trasposti su carta. Niente matita, ma solo penna. Nera., ovviamente. Niente sfumature, ma solo rigidi e repentini tocchi di inchiostro. Dall’alto verso il basso una linea si sfinisce in un ovale: una maschera inespressa che aspetta di prender vita. Poi i capelli. Quelli sono il mio punto forte. Mi compiaccio nell’idea di movimento che rendono. Che rendo. Spigolosi e allungati gli occhi. Le sopracciglia prendono forma nell’inconsistenza di un colpo di polso. L’ombra del naso, e finalmente le labbra. L’epilogo del mio disegno, il fallimento il più delle volte. Dalla curva che le definisce dipende il mio giudizio.
Le mie modelle sono sempre tristi. Quasi frigide.
Degne di essere cestinate.

venerdì 10 ottobre 2008

Ma 30 capocciate nel muro bastano a neutralizzare questa sensazione d'ansia opprimente?

giovedì 9 ottobre 2008

The City..

Spiaccicata contro il separè di vetro che fa da confine tra la zona passeggeri e quella dell’autista, ad ogni brusca frenata la mia testa segue il ritmo del rimpallo.
E, aggrappata al braccio di un gentile signore che si è prestato a fare da àncora di salvataggio, cerco goffamente di contenere ogni strattone che involontariamente e vicendevolmente ci si dà in quelle occasioni, in cui la distanza prossemica è assolutamente azzerata. Con tutte le conseguenze che ne possono derivare, ivi compresa una bella palpata sul sedere di un bulletto appiccicatosi dietro.
Guardo fuori dal finestrino la gente per strada. Tutti di fretta in questa città. A qualsiasi ora del giorno. Ne fisso i volti provando a indovinare le loro storie, e provando a immaginare la faccia che tra qualche mese avrò io, quando mi ritroverò catapultata in un’altra dimensione, irrimediabilmente estranea (temo).
Mi sforzo di memorizzare le strade e i percorsi, ma i punti di riferimento mi sembrano tutti uguali. Sono riuscita solo a ricordare le 10 fermate di metro prima di giungere a destinazione. Linea verde, mi è sempre piaciuto questo colore.
Dopo 3 ore di mezzi, arrivo a casa della mia amica, frastornata da una gestalt di rumori che nelle mie orecchie prendono la forma di un mal di testa.
Moment e divano. Quasi sicuramente il leit motiv del mio prossimo inverno.
Dicono che Milano la si può anche amare, ma richiede un po’ di impegno.
Ci proverò, anche se convincermene già mi fa venire il magone.
Per sei mesi di sogni, questo ed altro.

sabato 4 ottobre 2008

Ti dedico questi pensieri, perché da qui non posso fare altrimenti.
Sapevo che stavi male, ma non ho mai creduto che potessi andartene così presto.
La mente brucia settecento km e vola da te, e le lacrime fanno da olio su cui lasciarmi scivolare per raggiungerti quanto prima.
Ti dedico questi pensieri perché te e la tua famiglia mi avete sempre fatto sentire a casa, nella vostra casa. Ottanta gradini, 100 passi, una corsa, un citofono ed ero già lì, a mangiare le frise che tu ci preparavi, a me e Checca, quando alle sei di sera tornavi dal lavoro. E poi mi riaccompagnavi, non troppo tardi perché l’indomani, come hai sempre fatto per 5 anni, ci avresti portate a scuola. Con la 127 bianca e i nostri grembiuli, le trecce e gli zaini grandi. E quei panini che a Gianino lo rimproveravi sempre, perché non li riempiva abbastanza. “mena Gianì, che le bambine devono crescere!- dicevi, con quel tono scherzoso e quel sorriso che negli anni non si sarebbe mai appassito.
Le bambine so cresciute. Si stanno anche per laureare. E tu non ce l’hai nemmeno fatta a vedere, quella donna che è diventata tua figlia, laurearsi.
Questo Natale non sarà lo stesso. Quando passerò a prendere mamma da scuola, tu non sarai lì a salutarmi, a darmi la tua solita pacca e a dirmi “Sempre in gamba, e ritirati presto, che pure Franesca sta qui. Che si sa perché…quella ormai ha l’amore!”. Io non ho l’amore, e non tornerò nemmeno a casa dopo la laurea. Però ovunque andrò, tu resterai sempre una di quelle persone che mi ricorderanno quanto è stata bella la mia infanzia. E quanto possano scaldarti il cuore le dolci parole di chi ti ha visto crescere.
Ciao Peppino.

giovedì 2 ottobre 2008

Orario di ricevimento...


Due rampe di scale e una seggiola nera su cui aspettare.
Nel corridoio echeggia solo la voce decisa e piena del professore, che fa lezione ai nuovi studenti.
Tra le Converse e il pavimento di un marrone confuso da varie sfumature, il mio occhio coglie qualcosa che si muove. Zoom, messa a fuoco e particolare: è un’ape in agonia. O almeno credo che lo sia, visto che non riesce a volare ma ad ali tese zampetta sul pavimento. Viene nella mia direzione. Ho paura delle api, ho sempre creduto che una puntura e mi sarei ritrovata al pronto soccorso a causa di uno shock anafilattico. Un’altra delle mie immotivate fobie. Eppure mio padre mi ha insegnato a non temerle, o almeno ha cercato di farmelo capire. Loro pungono solo per difendersi-mi diceva. Strana teoria questa, comune non solo alle api.
Pochi cm dalle mie scarpe. L’idea di schiacciarla mi disgusta, non sopporterei nemmeno il “crac” che sentirei sotto i miei passi. Un calcio e l’allontano. Ma lei persevera e si riavvicina. Ancora un calcio e di nuovo, si riavvicina. La stessa traiettoria. Mi vuole pungere? Ma no, sta morendo. E poi che senso avrebbe un suicidio? O forse avrebbe senso proprio per accelerare l’ineluttabile destino? Chissà se le api lo sanno che liberarsi dal pungiglione significa la fine della loro esistenza.
Solo l’ape regina punge e si sente in diritto di non morire.
Ti lascia mangiare il suo miele, ma quando le pare sferra l’attacco.
In fondo si sa, ai sovrani è tutto concesso.