Un risveglio grigio almeno quanto quello del cielo di stamane, che sbatte pioggia e vento sui vetri della finestra.
Un sogno rassicurante quello di stanotte. Una giostra francese, quella con i cavalli ornati di tutto punto. Ma io non vi ero montata su, guardavo curiosa e stupita il suo movimento circolare e costante che ogni 2 minuti mi riproponeva la faccia ridente ma paretica della stessa bambina.
Tra meno di una settimana si cambia vita. Tra meno di una settimana me ne invento un’altra. Il tempo che mi rimane è per la raccolta differenziata. Quella dei ricordi.
Mi chiedo dove andranno tutte le strade, i bar, le infradito d’estate e gli stivali fradici d’inverno. Le sedie impolverate dei ricevimenti e i gradini della Croce del Travaglio.
Il pavimento ancora freddo del Campo ad aprile, le birre scolate fino all’ultimo goccio da Rosy. I negroni lasciati a metà.
Le porte sbattute e le lacrime affaticate dalle salite, le brutte parole e i sussulti più dolci. Gli abbracci più sinceri e i baci di giuda.
Le mie lenzuola e quelle di chi sa chi.
Me lo chiedo tutt’ora perché si deve avere lo sguardo fisso in un punto in metropolitana. E’ come se il buio dei sotterranei assorbisse tutti i colori.
Ma per fortuna entra un gruppo di zingari con i loro strumenti di cartone.
Sorrido. Finalmente la musica.
Uno di loro mi si avvicina, mi porge il cappello bucato e mi regala un riso sdentato.
Un pezzetto di felicità può costare giusto qualche centesimo. Spesso facciamo finta di non saperlo.
Un sogno rassicurante quello di stanotte. Una giostra francese, quella con i cavalli ornati di tutto punto. Ma io non vi ero montata su, guardavo curiosa e stupita il suo movimento circolare e costante che ogni 2 minuti mi riproponeva la faccia ridente ma paretica della stessa bambina.
Tra meno di una settimana si cambia vita. Tra meno di una settimana me ne invento un’altra. Il tempo che mi rimane è per la raccolta differenziata. Quella dei ricordi.
Mi chiedo dove andranno tutte le strade, i bar, le infradito d’estate e gli stivali fradici d’inverno. Le sedie impolverate dei ricevimenti e i gradini della Croce del Travaglio.
Il pavimento ancora freddo del Campo ad aprile, le birre scolate fino all’ultimo goccio da Rosy. I negroni lasciati a metà.
Le porte sbattute e le lacrime affaticate dalle salite, le brutte parole e i sussulti più dolci. Gli abbracci più sinceri e i baci di giuda.
Le mie lenzuola e quelle di chi sa chi.
Me lo chiedo tutt’ora perché si deve avere lo sguardo fisso in un punto in metropolitana. E’ come se il buio dei sotterranei assorbisse tutti i colori.
Ma per fortuna entra un gruppo di zingari con i loro strumenti di cartone.
Sorrido. Finalmente la musica.
Uno di loro mi si avvicina, mi porge il cappello bucato e mi regala un riso sdentato.
Un pezzetto di felicità può costare giusto qualche centesimo. Spesso facciamo finta di non saperlo.