sabato 24 gennaio 2009

La stagista

Quando ero bambina, in questo periodo, cominciavo ad immaginare il mio costume di Carnevale.
Sfogliavo alcune riviste di moda (all'epoca mia madre le comprava ancora e, visto la precisione con cui mi ricordo la copertina e il nome della testata, Burda doveva essere la mia preferita) e mi ispiravo ad uno degli abiti che quelle modelle dalle spalle squadrate e i capelli vaporosi e ondulati indossavano. Tranne un anno in cui la scelta fu piuttosto anticonvenzionale e dettata esclusivamente dalla mia fantasia, allora più che mai svincolata da qualsiasi motivazione logica e consequenziale. Decisi, infatti, di vestirmi da orologio. Forse, nonostante la tenera età, un richiamo profetico per contrastare la mia naturale inclinazione al ritardo cronico. Chissà. fatto sta che, tra dame e fatine, pagliacci e cenerentole, nel teatrino dell'asilo esordii con delle lancette in petto e dei numeri disegnati sulla faccia.

Se potessi travestirmi da qualcosa o qualcuno, quest'anno avrei le idee chiarissime. Mi basterebbe guardarmi allo specchio quando esco la mattina alle nove e quando rientro la sera alle otto. E non avrei nemmeno l'impellenza di cucire l'abito. Ce l'ho incollato addosso. Naturalmente. 
Si, quest'anno mi vesto da STAGISTA.
Quale migliore interpretazione se non la mia? Una faccia impallidita che sembra lavata con la candeggina, che per ravvivare lo sguardo traumatizzato da una sveglia troppo mattiniera ci metti un pò di matita intorno agli occhi, effetto Eva Kant. Un cappello, una sciarpa e l'mp3 come protesi del padiglione auricolare e via di corsa verso la fermata metro. 20 minuti di buio e silenzio e arrivi a destinazione. 
Una bevanda che del caffè ha solo il colore e comincia la giornata, in compagnia del mac, di bozze, di cromalin e di ciano. La caporedattrice che bercia perchè siamo in ritardo con il numero, e subito dopo la risata più sonora che una donna possa generare. 
E' un pò nevrastenica, ma in fondo ha un buon cuore. 
E poi la pausa pranzo, la mensa dei dipendenti e quindi il riso all'inglese. E la top ten di Lorenzo e il disaccordo di Sara sul fatto che "la francese" abbia il posteriore più scultoreo di tutta l'azienda. E tu lì che ascolti e sorridi. E giorno dopo giorno la timidezza lascia il posto alle tue battute, e fai in modo che gli altri, i "fissi", si accorgano che la nuova stagista non solo ha una voce , ma quasi quasi è pure simpatica. 
Nel frattempo arrivano le 18 e i tuoi occhi fanno certi giri incrociati sulle parole, tanto che le pagine ti sembrano una distesa uniforme di papaveri, magari con qualche margheritina selvatica, e degli articoli di quei Grandi che ti hanno preceduto non resta che la firma e il proposito che li riprenderai a mente fresca il giorno dopo. Chè io sono qui per imparare e non posso permettermi di farmi sfuggire le cose. 
E finalmente arriva la sera, e il viaggio infinito in metro. E la gente che ti guarda con gli occhi affossati e tu che rispondi loro alla stessa maniera.
Due parole con la tua amica, preferibilmente di gossip, di quello con cui ha litigato e di quell'altro che le farà una sorpresa venendo a Milano per il fine settimana. 
Infine...l'incontro più bello...lui è sempre lì che ti aspetta, dalla mattina alla sera. Ti lanci come un sasso su di lui e ti lasci avvolgere dal suo calore. E gli sussurri dolcemente: "caro letto, sono felice". 



mercoledì 7 gennaio 2009

La neve a Milano...

 -Arnold, iniziamo una relazione, okay?
- ...Vale a dire?
-Oh, non fare il diffidente. Cosa vorrà mai dire, secondo te? Una relazione. Tu trombi solo con me e io trombo solo con te. 
-Tutto qui?
-Bè, certo, in gran parte. E io ti telefono anche un casino durante la giornata. E' tipo una paranoia...non posso dire neppure paranoia? Okay, è una compulsione. Okay? Cioè è tipo una faccenda che non posso farne a meno. Cioè ti telefonerò in ufficio un casino. Perchè mi gira bene che tutti sanno che appartengo a qualcuno. Questo l'ho imparato dai cinquantamila dollari che ho passato allo strizzacervelli. Cioè tutte le volte che ho un lavoro, tipo che appena arrivo, ti chiamo e ti dico ti amo. E' coerente? 
- Certo.
- Perchè è proprio quello che voglio essere: così coerente.


(P. Roth, Lamento di Portnoy)