venerdì 22 maggio 2009

Una notte appena cominciata e che credo stenterà a finire. 
Il primo vero caldo, le lenzuola che si appiccicano alla pelle nuda e umida, le imposte spalancate e le zanzare che punzecchiano le gambe. 
Dalla strada sotto la finestra il vociare indistinto di una Milano che beve birra e lascia mozziconi di sigaretta  per terra. I tavolini e le luci soffuse. Ed io, in canotta e slip che mi rigiro nel letto e che alla fine decido di scrivere due righe, con Cindy Lauper nelle orecchie. E' la prima musica che mi capita a tiro. E tracanno acqua, assetata di vita e drogata di insonnia. 
Tra meno di due mesi potrebbe cambiare tutto. Ancora, per l'ennesima volta. 
Quale la mia prossima tappa? Ce ne sarà un'altra? L'idea di fermarmi mi spaventa. Scoprirei un vuoto che non voglio vedere. Ho voglia di una vita che straborda di novità, di cose che si ammonticchiano e si affastellano. Del solito disordine che regola le mie azioni, ma dentro cui trovo l'equilibrio. Non ho bisogno di una sosta, non ora. Uno sguardo di sguincio al mio ieri e non lo rimpiango. Nessuna nostalgia, ma solo voglia di guardare avanti. Con i miei rayban a farfalla in faccia e il mondo sfumato e amorfo negli occhi. L'apologia del sogno. 

mercoledì 6 maggio 2009

Rum, torte e un due di picche

Dopo qualche mese si ritrovarono nella solita sala da tea. Perchè poi scegliessero sempre quel posto resta un mistero, visto che tutto bevevano tranne che tisane o infusi. Tra i due lui era più abitudinario: un bicchiere di Rum accoppiato ad uno di acqua leggermente frizzante. Lei andava di gola e preferiva le torte della casa. Quella fu la volta della cannella e nocciola. 
Il tavolino, nell'angolo in fondo alla sala, li isolava ancora di più di quanto non facessero già i loro discorsi. Erano capaci di ascoltarsi per ore e di reggere pause di silenzi lunghissime. E quel giorno avevano entrambi voglia di recuperare il tempo mancato. Lui si mise a parlare dei suoi libri, gli unici in grado di dargli fiato e voce. Di tanto in tanto sorseggiava dal bicchiere squadrato il suo rum, si bagnava le labbra, e gli occhi fulgidi preannunciavano la ripresa del suo discorso. Lei, coi gomiti poggiati sul tavolo rotondo, lo ascoltava e si sentiva una prescelta, perchè  ben conosceva la diffidenza intellettuale del suo amico. Se aveva deciso di parlarle di Dostoevskij, Borges, Pessoa e Roth era perchè sapeva che lei li avrebbe per lo meno rispettati. 
Si, perchè se c'era una cosa per la quale lui disprezzava un essere umano, era l'indifferenza ai suoi autori. Passare noncuranti davanti alla libreria del suo salotto. O peggio, sfogliare approssimativi i suoi volumi, accuratamente disposti in ordine di grandezza. 
Lei lo aveva capito, e sorniona, gli concedeva ogni citazione recitata con il sussiego di chi marca il proprio territorio e ne riconosce i sudditi. 
Talvolta gli occhi di lei si incrociavano con quelli di lui. L'imbarazzo le saliva fino alle tempie e lo affondava in un piccolo canestro dove era riposto il miele. Girava e girava, e il miele le sembrava raddensarsi. Perdeva lo sguardo in quel movimento circolare: preferiva così anzichè cederlo a lui, che lo avrebbe smembrato in mille pezzi e ne avrebbe ricavato l'equazione più elementare. Il suo essere così spudoratamente ingegnere gli tornava utile in molte occasioni: rapidamente le avrebbe letto dentro. Ne erano consapevoli tutti e due. 
"Da quant'è che non vai con un uomo?"- le disse incautamente.
"Parecchio"- gli rispose con l'aria rassegnata di chi sapeva di essere stata scoperta. 
Si ritrovò nuda, prima davanti a un piatto vuoto che profumava di cannella, poi nel letto del suo amico. Le aveva sfilato i jeans, ma non la maglietta. Quella leggera trasparenza gli dava la sensazione di avere ancora tanto da scoprire. Era uno curioso l'ingegnere.
Fecero l'amore subito. Due volte.
Lei si coprì con un lenzuolo, che odorava di vaniglia. Lui andò in bagno a farsi una doccia. Poi scese in cucina e crollò sul divano. La lasciò dormire nel suo letto. Sola, ma ansimante.