martedì 27 maggio 2008

Certi risvegli...

Risveglio troppo mattiniero quello di oggi…alle 7.30 la sveglia di Frà ci ha destate da un sonno non troppo profondo…qualcosa deve essere andata storta stanotte...(a parte i mal di pancia della mia coinquilina).
Con gli occhi ancora socchiusi, col fare meccanico di un automa, ho rispettato anche stamattina i soliti rituali che decretano l’inizio di un’altra giornata: preparare il caffè, sciacquarmi il viso con acqua fredda, accendere il computer per ascoltare De Gregori e spalancare la finestra della cucina. E proprio nel fare di quest’ultimo passaggio ho capito cos’è che aveva inquietato il mio riposo notturno: è arrivata l’estate.
E ammirarla da qui, dalla finestra della mia cucina, toglie davvero il fiato…quanto è bella Siena in questo periodo…i colori, i profumi, i tetti che sorridono al sole, San Domenico imponente, grandioso, magnifico, un tempo mi disorientava, ora mi rassicura.Non credo si possa descrivere il piacere di sedersi sul davanzale della finestra e incantarsi, senza accorgersi che è già 20minuti che sei lì a fissare il solito, immutato ma meraviglioso quadretto…e non ho intenzione di farlo. Anche se ancora per poco questa poesia è solo per me.

lunedì 26 maggio 2008

"Quanto più elevata è la sensibilità, e acuta la capacità di sentire, tanto più assurdamente freme e si turba per cose insignificanti. Ci vuole un'intelligenza prodigiosa per lasciarsi angosciare da una giornata buia. L'umanità, che è poco sensibile, non si angustia con il tempo che fa, perchè fa sempre un qualche tempo; non bada alla pioggia fintanto che non le cada addosso.
La giornata, grigia e fiacca, è di un caldo umido. Da solo, in ufficio, passo in rivista la mia vita, e quel che vedo è come la giornata che mi opprime e rattrista. Mi rivedo bambino felice con nulla, adolescente pieno di belle speranze, virile senza gioia nè ambizione. E tutto questo è trascorso nella fiacchezza e nel grigiore, come la giornata che me lo fa rivedere nella memoria.
Chi di noi, voltandosi indietro sulla strada da cui non c'è ritorno, può dire di averla seguita come avrebbe dovuto?"

venerdì 23 maggio 2008

Pregiudizio, giudizio...e postgiudizio

Stamani il mio risveglio non è stato caratterizzato, come quasi sempre succede, dalla brusca sensazione di essere catapultata dalla dimensione inconsistente, vuota e incolore del sonno più profondo, a quella piena, brulicante e variopinta che pare essere quella reale…No…perché a scacciare violentemente Morfeo ci hanno pensato certi pensieri, che evidentemente stanotte non gli avranno dato pace e che, shakerati per circa 9 ore, mi si sono presentati a colazione…Perciò, sono costretta a bere questo cocktail di riflessioni, senz’altro multivitaminico, ma dal retrogusto leggermente amarognolo...
Il beverone è fatto sostanzialmente di tre ingredienti: il pregiudizio, il giudizio e il postgiudizio. Per essere certa del significato di ognuna di queste tre parole mi affido
allo Zingarelli, e comincia la ricerca.
Allora, alla voce pregiudizio il dizionario recita: “Idea ed opinione errata, anteriore alla diretta conoscenza di determinati fatti o persone, fondata su convenzioni tradizionali e comuni ai più”. E qui, nulla da dire, visto che purtroppo nella natura umana è insito un meccanismo del genere e, sebbene ci si sforzi di scrollarselo di dosso, la perversa logica del pre-giudicare sfugge anche al più rigido controllo. Ma l’arma di difesa di chi subisce tale perversione potrebbe essere l’incipit della suddetta definizione: “Idea ed opinione errata”, e quindi finchè uno ne ha le forze potrebbe ovviare con l’indifferenza.
Le cose si fanno più serie in relazione al giudizio, di cui il vocabolario dice: “Facoltà propria della mente umana di confrontare, paragonare, distinguere persone o cose”.
Nonostante il giudicare afferisca sempre e comunque alla dimensione soggettiva di un individuo (quindi resta a tutti gli effetti un’opinione, a prescindere dal grado di attendibilità che essa abbia), sicuramente un ruolo più autorevole rispetto al suo nefando cugino ce l’ha. Si presuppone infatti che l’atto del paragonare nasca dalla conoscenza (rimarco: soggettiva) delle entità che si confrontano.
Quindi il giudizio, quando non è motivo di fierezza, scaglia una sentenza più o meno crudele, ti punta il dito contro dall’alto di una scalinata, della serie “je t’accuse”, ma fortunatamente (a meno che non si tratti di una sentenza giudiziaria) sei ancora tu ad avere l’ultima parola, a decidere se risalire energicamente la gradinata o cambiare direzione e prendere la scala B.
E infine c’è il postgiudizio, neologismo coniato da una persona a me cara durante una delle nostre frequenti “disquisizioni”.
Ripensando al contesto in cui questa parola è stata pronunciata, mi viene da pensare che essa possa considerarsi come il pater familias del ceppo chiamato in causa; la massima espressione del termine “giudizio”, quello più ponderato, più razionale, forse più attendibile (benché resti, rimarco in rosso, soggettivo), in quanto è la summa di tutti gli atteggiamenti, comportamenti, azioni e gesti della persona postgiudicata. Ma proprio tutti. Convenienti e non, apprezzabili e disprezzabili, piacevoli e spiacevoli. E soprattutto, proprio per il profondo rispetto che attribuisco al valore di questa parola, credo che chiunque si arroghi il diritto di postgiudicare lo debba fare con la sicurezza di conoscere davvero l’altro… e oltrettutto, deve avere l’umiltà di porsi come il rispettivo termine di paragone…
…Di qui, mi permetto di inventare un ulteriore lessema che non ha pretese di autonomia di significato, se non tra queste righe: AUTOGIUDIZIO.
Ma mi rendo conto che per noi poveri mortali questo “auto-processo” sia impresa ardua e sconveniente...molto meglio pregiudicare, giudicare e postgiudicare.
E se poi vi rendete conto di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato…beh, sappiate che il postgiudizio è irreversibile!

… Nonostante io ami vivere tra la gente, a volte uno stile di vita eremitico mi stuzzica non poco la fantasia…

giovedì 22 maggio 2008

Tempo perso

Pubblico questo post anche se è stato scritto un po’ di tempo fa, ma spesso mi capita di guardarmi indietro per capire se da quel punto mi sono mossa…


Dovrei impegnarmi a scrivere una tesina che non ho voglia di scrivere. Dovrei impiegare le mie energie nella stesura di un indice a cui non ho voglia di pensare. Dovrei impegnarmi a progettare un futuro che mi piacerebbe tardasse ancora un po’ ad arrivare e di cui ho una paura incredibile…Dovrei imparare a mettere da parte certi pensieri e rimandarli a momenti più opportuni, ma a volte il mio desiderio di scrivere si fa talmente impellente che non riesco a concentrarmi su nient’altro fino a che non svuoto la mente dai mille pensieri confusi, contorti e in perenne lotta fra di loro che mi privano dell’effimera tranquillità a cui di tanto in tanto mi affido. Sono un’illusa a credere che una volta riversati su un foglio bianco possano dileguarsi, così come la nebbia lentamente lascia spazio al tepore di un sole pieno e limpido, ma al richiamo dei miei deliri non so resistere e perciò do il via a questo lento e probabilmente fittizio delay.
Tabula rasa, mi ripeto. Voglio diventare una tabula rasa, proprio com’era questo foglio bianco prima che cominciassi a sporcarlo del nero delle mie incertezze, delle mie paure, delle mie congetture.
“Viviti quello che la vita ti offre”: questo è il comandamento di chi sa affrontare le cose con una spavalderia ed un coraggio che temo non mi appartenga. Questo è il consiglio che chiunque (compreso me stessa) è pronto a propinarti ogni volta che il tuo cuore non riesce a trovare una soluzione che riesca a capacitare la ragione. Questo è l’alibi dietro cui nascondersi quando ti rendi conto che stai avvallando qualcosa con cui prima o poi dovrai fare i conti. La verità è che non si può vivere alcuna situazione senza pensare al dopo, almeno io non sono capace di farlo. Sarà la mia propensione naturale all’ottimismo e alla voglia di star bene, sarà la mia preoccupazione di preservarmi da altre sofferenze, sarà il mio irrefrenabile desiderio di fare voli pindarici e di sognare ad occhi aperti, ma io proprio non ce la faccio a vivere minuto per minuto. Perché ogni cosa che io faccio è sbilanciata in avanti; ogni cosa in cui credo mi piace a tal punto da desiderarla per sempre; la mia voglia di te è talmente grande che io so che domani ti vorrò ancora. E sono talmente folle da pensare che domani sarà ancora meglio di oggi.
Il mio tempo e le emozioni che lo scandiscono sono profondamente vissuti, succhiati con avidità dalla brama di possederli, fino ad avvertire la dolcezza o l’amarezza dell’abbraccio con cui avvolgono tutti i miei sensi.
E’ a causa di questa pienezza che parlare di minuti mi sembra troppo riduttivo; e allora penso che dopo quel minuto ce ne sarà un altro, seguito da altre ore e da altri giorni. Da qui il mio vano tentativo di guidare il tempo con i sogni, la speranza di un domani felice e l’illusione di poterti avere accanto, sempre.


…forse qualche passo l’ho fatto, ma dovrò bruciarne di suole….

mercoledì 21 maggio 2008

L'appuntamento

Ci sono giornate in cui è sorprendente la speditezza con cui procede il tuo studio. Pagine e pagine macinate una dopo l’altra, e non importa se fuori c’è un martello pneumatico che perfora la strada e gli operai che urlano a suon di fonemi per lanciarsi messaggi crittografati; il bambino dei vicini che per qualche motivo inconsulto non è andato a scuola e ha deciso di giocare ai soldatini nel terrazzino su cui si affaccia la tua finestra ( spalancata per il primo caldo della bella stagione) e i ragazzi (matricole) del piano di sotto che, appena svegli, mettono musica metal a palla, perché solo così possono riprendersi dal sonno interrotto prematuramente ( che in fondo alzarsi a mezzogiorno è uno sforzo disumano). Insomma, nonostante l’inquinamento acustico intorno a te abbia raggiunto i 90 decibel, tu, armata di matita, righello, pennarelli di 5 gradazioni diverse di rosso ed evidenziatore giallo, sei con la faccia a 5 cm dal libro e risollevi la testa solo per tracannare acqua alla bottiglia.
Nulla può fermarti, questa volta all’esame ci arrivi pure con due ripassi….
Ma proprio nel mentre della comprensione illuminante di un concetto, che per giorni e giorni ti ha bruciato le sinapsi, squilla il tuo cellulare.
Con fare infastidito allunghi il braccio e senza nemmeno guardare il display, con tono quasi sprezzante rispondi:
-“Pronto”
-“ Ciao, ti disturbo?”
Con una prontezza di riflessi inaudita che ti permette di riconoscere l’interlocutore, reimposti la modulazione della voce e dici:
-“No no figurati…ero in pausa studio”
E insomma, il dialogo prosegue fino a che lui non ti invita ad un concerto jazz quella stessa sera. Dopo aver dato conferma, riattacchi e da quel momento in poi sai che tutti i tuoi buoni propositi di studio matto e disperato verranno irrimediabilmente rasi al suolo, perché hai davanti a te solo un pomeriggio per prepararti.
E allora colta da un attacco di panico, eccitato da sfumature di isteria, ti fiondi nel bagno ed è proprio lì che ti rendi conto del degrado fisico a cui ti sei ridotta.
Specchio infame, non te la do vinta…Ti sciogli i capelli, sicura che i tuoi meravigliosi ricci riscatteranno i tuoi gitani lineamenti, ma ahimè, il pinzone a 20 denti ha praticamente reso la tua chioma una massa compatta e lanosa che segue una linea sinusoidale, che si appiattisce sulla nuca e si rigonfia tra il collo e le spalle.
Gli occhi cerchiati di un nero con riflessi violacei e ingrossati da due borse, che sembra che hai passato le ultime tre notti a fumare canne e a leggere Proust; la pelle così disidratata da assumere le fattezze di un pesce squamoso.
Sei disperata, ma non getti la spugna, sicura che una doccia ristoratrice ti riporterà agli antichi splendori. E poi, consiglio della rubrica bellezza di Cosmopolitan, quando i segni della stanchezza ti imbruniscono il viso, allora bisogna puntare su un abbigliamento che valorizzi il tuo fisico…

...Il tuo fisicooo????

Un’analisi attenta e approfondita richiede uno specchio a figura intera e lì la partita tra te e quell’essere amorfo che pretende di essere la tua immagine si fa davvero dura:
quante vaschette di gelato ho divorato per ottenere questo effetto di “rotolone sblusato” sui jeans?? E bastano solo 15 giorni di inattività fisica per far assumere ad un fondoschiena più o meno sodo la consistenza di una crème brullè?? E quel brufolo che sembra lampeggiare sul tuo florido decolleté quando e perchè è comparso???
Nel pieno dello sconforto ti infili sotto la doccia, sapendo che una volta fuori di lì dovrai impegnarti in un’azione di restauro degna dei migliori lavori di recupero del patrimonio artistico di una nazione.
Rovisti nervosamente nell'armadio, cercando l'accostamento che meglio sintetizza il principio fondamentale del primo appuntamento: "sobria ma sensuale".
Giunta alla decisione, ti vesti e spalanchi l'anta dell'armadio che cela lo specchio...ti guardi, ti giri, profilo destro, profilo sinistro....vabbè, può andare.
Trucco apparentemente leggero ma che solo tu sai quanti strati di fondotinta, cipria e terra si alternano sulla tua faccia, ricci perfettamente incerati e laccati, 10-15 spruzzi di Burberry che se lascia la scia fa molto più donna...e sei pronta.
Con passo traballante a causa dei tacchi 5 cm (di più non puoi osare altrimenti rischi di fratturarti le caviglie) e con minimo mezz'ora di ritardo raggiungi il luogo dove avete appuntamento e con fare serafico lo saluti:
-" ciao...scusa il ritardo...è che stavo studiando e non mi sono resa conto dell'orario".

Per fortuna che tutto ciò vale solo per il primo appuntamento...

martedì 20 maggio 2008

Il primo giorno

Il fascino della blogosfera ha coinvolto anche me, probabilmente una fra gli ultimi esponenti della resistenza più ostinata alla informatizzazione e a tutte le sue applicazioni; sostenitrice convinta del fascino incomparabile della penna stilografica; insomma, una sorta di anti-drago del web che alla tastiera e all’ultimo aggiornamento di word, ha sempre preferito trasferire i propri pensieri sulla tanto amata e personalissima Moleskine.

Ma la mia (inconfondibilmente femmina) curiosità mi ha portato ad esplorare un mondo ignorato fino a qualche tempo fa e, link dopo link, mi sono ritrovata a leggere storie, aneddoti, resoconti di giornate di persone che esistono in quanto traccia di un reale che è altrove, forme di un’impronta che allude a vite rivestite di una virtualità sorprendentemente vera. E allora ho capito che il mio atteggiamento snobista era ingiustificato e ho cominciato a sentirmi come quella volpe che si convince che l’uva sia troppo acerba per essere mangiata…

Perciò, sommando il piacere incommensurabile dello scrivere alla mia innata predisposizione per le public relations, eccomi qui, pronta per le presentazioni ufficiali, tipo quelle che ti fanno fare il primo giorno di scuola…della serie: descrivi con tre aggettivi la tua personalità…vabbè, sembra più un test psicologico, ma insomma ci siamo capiti….

Indi….



Salve a tutti,

io sono Mikado, una casuale ma armonica combinazione di sensi, intrecciati fra loro dalle emozioni che scandiscono il ritmo delle mie giornate e che, perennemente in lotta fra di loro, mi fanno sentire incredibilmente viva, animata ora dalla felicità più travolgente che si possa immaginare, ora dalla tristezza e dalla delusione più cupa, dalla solitudine più nera e da una serenità quasi panica. Insomma, un melting pot di emozioni che caoticamente si affastellano nella mia testa ma che fanno si che la noia non prenda il sopravvento, perché troppo impegnata a ricercare un equilibrio che spero non diventi mai stasi.

E’ per questo che amo camminare in punta di piedi sul filo del rasoio; guardare il mare di notte dall’alto di un cornicione; leggere un libro seduta sul davanzale di una finestra; tuffarmi dagli scogli; inoltrarmi per i sentieri di un bosco d’autunno.

E ancora, guardare un film con la testa poggiata sulle gambe della persona che amo (magari mentre mi scompiglia i ricci…che goduria!); fare l’amore mentre fuori imperversa una tempesta; chiacchierare con un amico in piena notte (estiva) su una panchina isolata, possibilmente con il sottofondo dell’acqua frusciante di Fonte Branda; stupirsi di fronte ad un paesaggio e pensare a come immortalarlo in un’inquadratura fotografica; e poi disegnare abiti; affondare il cucchiaino nella vaschetta (rigorosamente da 500g) di gelato al caffè; sprecare il tempo davanti al banco frigo di un supermercato; sperperare le ultime 100 euro nell’acquisto di femminee inutilità (che evito di elencare per amor di cronaca); etc etc…

Insomma, un vaso di pandora che ancora non ho svuotato del tutto nemmeno io, e che spero possa liberare tutte le lacrime, i sorrisi, le isterie, i dubbi, le sciocchezze che raccontano i miei momenti.

Vabbè….mi sa che è suonata la campanella, queste presentazioni sono durate troppo…



Alla prossima!