venerdì 23 maggio 2008

Pregiudizio, giudizio...e postgiudizio

Stamani il mio risveglio non è stato caratterizzato, come quasi sempre succede, dalla brusca sensazione di essere catapultata dalla dimensione inconsistente, vuota e incolore del sonno più profondo, a quella piena, brulicante e variopinta che pare essere quella reale…No…perché a scacciare violentemente Morfeo ci hanno pensato certi pensieri, che evidentemente stanotte non gli avranno dato pace e che, shakerati per circa 9 ore, mi si sono presentati a colazione…Perciò, sono costretta a bere questo cocktail di riflessioni, senz’altro multivitaminico, ma dal retrogusto leggermente amarognolo...
Il beverone è fatto sostanzialmente di tre ingredienti: il pregiudizio, il giudizio e il postgiudizio. Per essere certa del significato di ognuna di queste tre parole mi affido
allo Zingarelli, e comincia la ricerca.
Allora, alla voce pregiudizio il dizionario recita: “Idea ed opinione errata, anteriore alla diretta conoscenza di determinati fatti o persone, fondata su convenzioni tradizionali e comuni ai più”. E qui, nulla da dire, visto che purtroppo nella natura umana è insito un meccanismo del genere e, sebbene ci si sforzi di scrollarselo di dosso, la perversa logica del pre-giudicare sfugge anche al più rigido controllo. Ma l’arma di difesa di chi subisce tale perversione potrebbe essere l’incipit della suddetta definizione: “Idea ed opinione errata”, e quindi finchè uno ne ha le forze potrebbe ovviare con l’indifferenza.
Le cose si fanno più serie in relazione al giudizio, di cui il vocabolario dice: “Facoltà propria della mente umana di confrontare, paragonare, distinguere persone o cose”.
Nonostante il giudicare afferisca sempre e comunque alla dimensione soggettiva di un individuo (quindi resta a tutti gli effetti un’opinione, a prescindere dal grado di attendibilità che essa abbia), sicuramente un ruolo più autorevole rispetto al suo nefando cugino ce l’ha. Si presuppone infatti che l’atto del paragonare nasca dalla conoscenza (rimarco: soggettiva) delle entità che si confrontano.
Quindi il giudizio, quando non è motivo di fierezza, scaglia una sentenza più o meno crudele, ti punta il dito contro dall’alto di una scalinata, della serie “je t’accuse”, ma fortunatamente (a meno che non si tratti di una sentenza giudiziaria) sei ancora tu ad avere l’ultima parola, a decidere se risalire energicamente la gradinata o cambiare direzione e prendere la scala B.
E infine c’è il postgiudizio, neologismo coniato da una persona a me cara durante una delle nostre frequenti “disquisizioni”.
Ripensando al contesto in cui questa parola è stata pronunciata, mi viene da pensare che essa possa considerarsi come il pater familias del ceppo chiamato in causa; la massima espressione del termine “giudizio”, quello più ponderato, più razionale, forse più attendibile (benché resti, rimarco in rosso, soggettivo), in quanto è la summa di tutti gli atteggiamenti, comportamenti, azioni e gesti della persona postgiudicata. Ma proprio tutti. Convenienti e non, apprezzabili e disprezzabili, piacevoli e spiacevoli. E soprattutto, proprio per il profondo rispetto che attribuisco al valore di questa parola, credo che chiunque si arroghi il diritto di postgiudicare lo debba fare con la sicurezza di conoscere davvero l’altro… e oltrettutto, deve avere l’umiltà di porsi come il rispettivo termine di paragone…
…Di qui, mi permetto di inventare un ulteriore lessema che non ha pretese di autonomia di significato, se non tra queste righe: AUTOGIUDIZIO.
Ma mi rendo conto che per noi poveri mortali questo “auto-processo” sia impresa ardua e sconveniente...molto meglio pregiudicare, giudicare e postgiudicare.
E se poi vi rendete conto di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato…beh, sappiate che il postgiudizio è irreversibile!

… Nonostante io ami vivere tra la gente, a volte uno stile di vita eremitico mi stuzzica non poco la fantasia…

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella riflessione. E carino il neologismo. Aggiungo che forse lo puoi descrivere come un equilibrio tra i tre tipi di giudizi e una oggettività difficile da raggiungere su se stessi. E spesso travisata quando trasposta sugli altri.
Che ti mangi la sera per svegliarti con questi pensieri?
Le varie tappe di caffeina che mi servono per attivarmi la mattina di solito sono più indolori, ma ugualmente amarognole

Gianna ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Post davvero arguto!A molti risulterà difficile capire come si possano partorire certe riflessioni di prima mattina, a me no visto che ho provato sulla mia pelle la vulcanicità del tuo risveglio....io con l'autogiudizio ci ho fatto i conti per tanto tempo,mi ha fatto male, ha soffocato spesso ciò che volevo esprimere e ciò di cui volevo godere; oggi non è più così, posso giudicarmi e postgiudicarmi, uscendone più consapevole, libera e serena...
Antonella

Anonimo ha detto...

L'autogiudizio è uno stato talmente difficile da raggiungere..primo perkè se fai una cosa, giusta o sbagliata che sia, ai tuoi occhi sembra sempre corretta..e anche quando giungi alla conclusione di aver sbagliato..ti dai una giustificazione qualsiasi..e ti metti l'animo in pace..e secondo, perkè (e succede anche con pregiudizi e giudizi) è sempre semplice riconoscere quando gli altri giudicano, ma non è mai semplice riconoscere quando sei tu a farlo..
io penso di non essere ancora pronto..
un bacio
il Ciuk-O